Campobello di Mazara: tra sfruttamento e nuove politiche securitarie

Partiamo dai fatti: Campobello di Mazara dall'inizio degli anni '90 diventa un territorio monocolturale incentrato sulla Nocellara del Belicè, unica culitvar con la doppia vocazione da tavola e olearia. Prima di allora resisteva ancora una diversificazione delle coltivazioni e un sistema misto di lavoro salariato e familiare per le stagioni di raccolta.

CONTADINAZIONI - VENERDÌ 6 OTTOBRE 2017

Agli inizi degli anni 2000 che assistiamo ad una lenta trasformazione del mercato del lavoro in cui si inserisce la manodopera di provenienza susbsahariana che sostituisce progressivamente quella tunisina.

È solo dal 2013 però che grazie all'intuito e forza di un gruppo di attivisti locali sotto il nome di Libertarea e dopo il triste evento della morte di Ousmane Diallo per un incendio nel suo casolare, che i più (non tantissimi) si accorgono di questo universo parallelo simile a tanti altri visti in giro per l'Europa meridionale. Qui come altrove monocoltura, grande distribuzione organizzata determinano lo schiacciamento degli agricoltori che a loro volta strozzano inevitabilmente più e più lavoratori vulnerabili. Da quell'ottobre del 2013 ad oggi abbiamo condiviso tante esperienze e imparato tante cose che non avremmo mai immaginato...eravamo arrivati lì credendo di sapere molto: cos'è il lavoro nero, cosa vuol dire antirazzismo, cosa vuol dire fare attivismo in un territorio simile... molte delle nostre certezze sono state stravolte e crediamo che il punto di svolta sia stato il mettersi in discussione e in ascolto. Non servono soluzioni precostituite e confezionate dall'alto, parole altisonanti e mediatizzazione delle precarie condizioni umane...
serve il confronto e a volte l'accettazione di contraddizioni che vengono fuori da contesti che ci appartengono solo in parte
serve la costruzione di processi, forse più lenti meno fotogenici, ma condivisi e sentiti da chi vive determinate condizioni.
Soprattutto quello che ci sentiamo di dover dire è che abbiamo assistito a tanti cambiamenti che ci preoccupano e che vorremo invitare ad analizzare facendo tesoro di evoluzioni simili avvenute in altri luoghi.

Primo tra tutti è la composizione del ghetto abitativo, conosciuto in tutti gli altri campi del sud Italia come la succursale di Touba per la presenza predominante senegalese e di provenienza rurale. Questo ha caratterizzato per molti aspetti positivamente la gestione e la vita quotidiana prima a erbe Bianche e poi all'ex oleificio. Non a caso l'aspetto religioso ha sempre scandito i ritmi di quel luogo e contestualmente molti disagi legati al consumo di alcool che caratterizzano luoghi simili sono stati contenuti. Siamo stati testimoni e partecipi di esempi di autogestione comunitaria: dalla pulizia degli spazi abitativi alla solidarietà verso chi rimane tagliato fuori dal mercato del lavoro.

Quando alcuni amici provenienti da Rosarno sono venuti a trovarci nel 2014, dopo una festa da ballo al ghetto, sottolineano l'importanza di preservare questa bella atmosfera, impossibile da immaginare in tendopoli militarizzate e abbrutite che conoscono loro.

Negli anni il clima cambia, sempre più i piccoli olivicoltori sono tagliati fuori dal mercato, infatti non possono sostenere standard sempre più restrittivi sulla sicurezza alimentare, gli stessi trasformatori storici investono nella chiusura della filiera e si trovano a competere con i grandi colossi della distribuzione, per cui la storica Nocellara Jumbo è perfino inadatta perchè non standard per i banchi dei supermercati.

A catena tutto si riversa verso gli inferi, la disoccupazione giovanile e l'emigrazione aumenta...arrivano però “i nuovi” migranti che appartengono all'epoca della crisi dei rifugiati.

Come prima osservazione ci permettiamo di dire che lo stato di semi-autogestione degli anni precedenti ha sicuramente prodotto un bell'esercizio di integrazione tra coraggiosi attivisti locali e lavoratori di passaggio in questo territorio ma ha anche prodotto uno sfibramento umano e politico su più fronti. È infatti inammissibile che l’accoglienza di centinaia di lavoratori alla base dell'economia agricola locale sia stata gestita dalle istituzioni delegando alla buona volontà di pochi temerari che di certo non si sono immolati per un ritorno economico. Mai smetteremo di ringraziare chi ha dato tutto individualmente e mai smetteremo di sottolineare le responsabilità di chi determina queste condizioni. Come non smetteremo di ricordare la grande disponibilità di chi abita al quartiere Erbe Bianche che con un’umanità invidiabile prova a comprendere da anni le difficoltà di chi sta peggio pur subendone le conseguenze.

Se scappa il conflitto, la rissa, non è responsabilità individuale ma collettiva e istituzionale.. vivere in tenda accanto a un quartiere popolare non è facile e non è facile vivere in un quartiere popolare abbandonato e sostenere condizioni igienico sanitarie e sociali al limite.

Come esempio di autorganizzazione e umanità da valorizzare ci piace ricordare il campetto di calcio che divide le case popolari dalle tende. Lo stato di abbandono e l'assenza istituzionale è tangibile e nonostante questo è lì che s'incontrano ogni giorno giovani campobellesi e gli ospiti stagionali...

Giocando a calcio insieme sono nate le prime amicizie e piccole forme di mutuo-aiuto...ma questi sono aspetti straordinari da premiare e da non dare per scontati.
In queste condizioni bisogna capire bene di chi sono le responsabilità e che ci sono più modi di intervenire o non intervenire... quello che è da scongiurare è un intervento che sia più che inutile dannoso.

Ecco arrivando al punto della nostra attuale preoccupazione:
l'11 settembre è stata approvata l'ordinanza sindacale n. 059 dal titolo: “Divieto di utilizzo di aree pubbliche o private soggette a pubblico passaggio per accampamento, bivacco o ripari vari in tutto il territorio comunale”.
Dalla quale testualmente leggiamo:
“Ritenuto che - il numero dei lavoratori è progressivamente aumentato nel corso degli anni e proprio nel corso dell’ultimo anno agrario trascorso si è stimata la presenza di oltre millequattrocento unità che si è riversata presso il citato campo di accoglienza con gravi conseguenze sia sotto l’aspetto igienico sanitario che di sicurezza dei luoghi; - a seguito di diverse riunioni, tenutesi nel corso dell’anno, con la Prefettura di Trapani e le altre Istituzioni competenti nonché a seguito di sopralluoghi congiunti dei Vigili del fuoco e l’ASP presso l’immobile di “ Fontane d’Oro”, è emerso che è necessario adeguare il campo de quo alle prescrizioni impartite dai citati organi indispensabili, ognuno per le proprie competenze, al fine di soddisfare idonei standard igienico sanitari e di sicurezza del luogo nonché di numero delle presenze atteso che nel campo non potranno trovare accoglienza più di 200/250 lavoratori;
Considerato che - il campo che si andrà ad allestire, può accogliere un numero limitato di lavoratori (200/250) ed esiste, pertanto, il serio e concreto pericolo che i lavoratori stagionali possano accamparsi su parti del suolo pubblico o su aree private soggette a pubblico passaggio con posizionamento di tende, baracche, ripari di fortuna, ecc.”

Non possiamo non notare positivamente l'interesse congiunto, evidente anche per la stipula del protocollo d'intesa di cui parleremo più avanti, di diversi enti istituzionali da non dare per scontato vista l'esperienza degli ultimi anni. Allo stesso tempo è evidente la base dell'intervento sia una contraddizione in termini: un'ordinanza contro il bivacco che espone matematicamente i più vulnerabili al rischio di sanzioni insostenibili. Come si può dopo anni di assenza e scelte di comodo poter prendere una posizione tanto cieca?

Vogliamo credere sia un errore di valutazione a cui presto si porrà rimedio, come si può di fronte a un fatto strutturale proporre soluzioni tanto emergenziali tanto monche come quello di un campo per 250 persone e regolari?!

Come si può pensare di regolare l'accesso al“campo d'ospitalità” richiedendo 2 euro all'ingresso, regolare permesso di soggiorno e contratto di lavoro?
Cosa ci resta sperare? Che anche questa volta il comune non si contraddistinguerà per solerzia e che quindi sia solo lettera morta e di facciata?! Questa volta intanto speriamo di si!

Per la prima volta all'accampamento si respira notevole tensione e preoccupazione, qualcuno con più esperienza afferma: “L'apertura del campo creerà tensioni tra noi che speriamo di essere in grado di gestire, a questo punto sarebbe più utile non far niente!”

Ma non ci vuole certo un genio a capire come questa proposta rischia di essere dannosa e ha l'unico scopo di “far mettere il ferro dietro la porta” al sindaco.
Chiediamo l'immediata modifica della delibera per il bene dei campobellesi, per il bene dei lavoratori e per il bene dell'economia locale.

Chiediamo un serio lavoro di progettazione a lungo termine che abbia come obiettivo di fornire gli strumenti necessari per uscire dall'emergenza, case e residenza per chi resta tutto l'anno, con un'accurata analisi dei beni sfitti e demaniali e offrendo la possibilità di poter rinnovare il permesso di soggiorno con un indirizzo virtuale.

Questi due aspetti si collegano strettamente all'accesso ai servizi sanitari che potrebbero anch'essi in parte essere forniti ordinariamente dal sistema sanitario pubblico.

Nessun intervento è pensabile senza la voce e il protagonismo dei lavoratori.

Per quanto riguarda il protocollo d'intesa del 21 Giugno, crediamo che l'analisi sia un po' diversa ma la richiesta da parte nostra simile.

Questo è un intervento attivo che muove a nostro parere da buone intenzioni e da un'analisi più accurata del fenomeno. Questo strumento di concertazione tra il terzo settore e le istituzioni è stato fornito come sappiamo dalla legge 199 del 2016: “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”. É evidente lo sforzo istituzionale e che tali avanzamenti siano frutto di numerose intelligenze e competenze. Ci preme però sottolineare, con modestia, che spesso tutto lo scibile e lo sforzo non bastano a comprendere le dinamiche relazionali di questi spazi.

Non abbiamo la pretesa di essere in grado di interpretarle noi...ma a partire dalla nostra esperienza e essendo informati di valutazioni già in corso rispetto a questi strumenti che oggi vengono proposti a Campobello.. ci permettiamo di dire che dobbiamo essere cauti prima di cantare vittoria e soprattutto che non ce ne sarà alcuna senza il protagonismo dei diretti interessati.

Perfino la FLAI CGIL, diciamo “perfino” perchè sappiamo l'investimento e corresponsabilità del sindacato che rappresenta più lavoratori in Italia nell'elaborare questi strumenti e nell'elaborare la base dei dati e di conoscenza del fenomeno non in ultimo con le “Brigate del lavoro”, fa un bilancio negativo degli ultimi anni.
Per noi è importante, al fine di un'efficace azione a Campobello di Mazara, avere uno sguardo generale e valutare come le soluzioni proposte ad oggi siano state applicate altrove per evitare buchi nell'acqua e sperpero di denaro.

Il primo caso è quello del protocollo sperimentale in Basilicata, dove a Venosa e a Palazzo san Gervasio nei ghetti di Boreano e Molini-Matinelle è evidente l'intermediazione di caporali che monopolizzano il trasporto. Dal 2014 la regione ha varato una serie di azioni tra cui una lista di prenotazione per l'impiego e due centri di accoglienza per i lavoratori e un conseguente sgombero dello storico ghetto informale.

Quest'ultimo si è ricreato tre chilometri più avanti e vive in totale assenza di interventi.

Soltanto una parte dei lavoratori ha accettato l'accoglienza indubbiamente più dignitosa e nonostante l'iscrizione di centinaia di lavoratori nelle liste, il lavoro continua ad essere in gran parte gestito dai caporali che evitano, finchè possono, accuratamente i centri istituzionali. Quindi i lavoratori si trovano a dover scegliere tra l'accoglienza e il lavoro, peraltro lo sgombero del ghetto storico ha reso ancora più forte il legame tra caporali e lavoratori.

In ultimo il servizio di trasporto pubblico, previsto anche nel protocollo campobellese, è stato attivato in piccola parte soltanto la scorsa estate e con poca incidenza sui meccanismi di reclutamento al lavoro.

A Nardò hanno aperto un campo container quasi a stagione conclusa gestito dalla protezione civile, a cui agli storici attivisti, che conducono attività di sostegno da anni, è stato negato l'accesso.

A Rosarno stanno sgomberando la vecchia tendopoli a San Ferdinando dopo averne inaugurato una nuova con capienza per 500 persone già stracolma pur essendo fuori dalla stagione di raccolta.
A Foggia ci sono state diverse battaglie per la regolarizzazione attraverso la residenza virtuale, dopo anni c'è stato lo sgombero del ghetto di Rignano e la repressione verso gli attivisti impegnati.
A Saluzzo modello di civiltà e accoglienza ci sono 4 campi, due gestiti dalla coldiretti e due dalla caritas. In questi ultimi due il costo per risiedervi ammonta a 45 euro e sono caratterizzati da controlli all'ingresso e all'uscita.
Tutto ciò è importante per sottolineare che situazioni in parte simili a quelle del trapanese sono state affrontate con gli stessi strumenti inefficaci e per certi versi pericolosi: le nuove tende e i container portano controllo, stratificazione tra regolari e irregolari, repressione di chi chiede parola.
Per non parlare in ultimo dell'attuale fallimento della rete del lavoro agricolo di qualità a cui si sono iscritte soltanto poche migliaia di aziende in tutta Italia. Altro strumento utile sulla carta ma supportato da pochi controlli e strumenti di regolazione. Ad oggi è più probabile che incorrano in reati le aziende che pagano già i contributi piuttosto che quelle invisibili. L'assenza di reati di tale genere non corrisponde peraltro alla possibilità di sindacalizzazione dei lavoratori.
Questi nuovi strumenti proposti a Campobello di Mazara ci sembrano utili ma rischiano di allarmarci qualora non si prendano in considerazione i limiti già evidenziati altrove.
Ci allarmano gli interventi repressivi perfino verso i piccoli imprenditori e i caporali quando non sono associati a percorsi di valorizzazione di un'altra agricoltura.
Ad oggi possiamo affermare che quasi nessuno dei migliaia di produttori è in grado di stare sul mercato regolarmente e che lo sfruttamento della manodopera migrante è la base di questo modello produttivo. Perfino i marchi d.o.p. non sono strumenti di protagonismo dei produttori ma di stratificazione del mercato.
Una mancata cautela e lenta e nuova programmazione per l'agricoltura locale rischia soltanto di mettere in scena un'azione repressiva nei confronti degli stagionali i quali andrebbero invece coinvolti nell'affinamento e ripensamento di questi strumenti legislatvi e non solo.
Forse anche questa volta Campobello può essere laboratorio attivo di nuove percorsi da prendere ad esempio.


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