Lotta di classe nelle campagne siciliane: storia e prospettive
Si riuscì per la prima volta ad organizzare degli scioperi in tutta l’isola bloccandola letteralmente, con l’intento di ottenere condizioni di vita e di lavoro più sostenibili.
di Emanuele Feltri, Comunità rurale Terre di Palike - Fuorimercato
In particolare i braccianti agricoli, i mezzadri, eranoschiacciati ancora dagli strascichi del sistema feudaleformalmente abolito, che privava i contadini del diritto alla terra e li relegava ad una condizione di povertà estrema, soggiogati da pesanti “gabelle” e dal denaro che erano obbligati a pagare ai “campieri” in cambio di protezione.
“Fra coloro che aderirono ai Fasci dei Lavoratori, si distinsero le donne, che aspiravano alla conquista, attraverso la solidarietà e la partecipazione, del benessere sociale. Tentavano di recuperare valori morali e sociali in grado di proporre alla collettività un senso nuovo della dignità umana.
I Fasci siciliani furono tragicamente repressi dai mafiosi locali e dal governo nazionale. Si contarono più di cento morti, diverse centinaia furono i feriti e oltre tremila cinquecento i rinchiusi nelle patrie galere. Per comprendere perché i fasci ebbero una tale diffusione nei centri rurali basta considerare le condizioni in cui versava, a trent'anni di distanza dalla forzata Unità, la classe contadina. In Sicilia giunse in ritardo, anche rispetto al Mezzogiorno continentale, la promulgazione delle leggi eversive della feudalità e, quando giunsero, queste leggi non vennero applicate per molto tempo. Benché i feudi fossero stati trasformati in allodi, cioè in proprietà private, non ci fu la formazione di una classe di piccoli e medi proprietari. Le terre vendute dai baroni in dissesto finanziario finirono per ingrandire ulteriormente i latifondi di altri ex-feudatari e di gabellotti arricchiti. Il latifondo, quindi, continuava a caratterizzare l'agricoltura e la struttura sociale siciliane. Inoltre, le condizioni dei contadini erano peggiorate per la perdita, in seguito alla eversione della feudalità, dei diritti comuni e degli usi civici”.1
Dai primi del ‘900 fino agli anni 40 il disagio, la povertà e l’arretratezza nelle campagne rimasero immutate. Nemmeno gli interventi durante il ventennio fascista risultarono concreti, in quanto non si riuscì e non si volle toccare lo strapotere degli agrari latifondisti.
Nel dopoguerra, grazie al lavoro di sindacalisti,compagni e attivisti come Placido Rizzotto (partigiano delle brigate garibaldi, militante socialista, sindacalista cgil, assassinato il 10 marzo del ’48 dalla mafia), Giuseppe Maniaci (segretario della confederterra, assassinato il 25/10/ ’47 dalla mafia), Vito Pipitone (Vice segretario confederterra, assassinato 19/107’47 dalla mafia) Pio la Torre (’59 segretario regionale cgil, ’62 segretario regionale P.C.I. , ’63 deputato regionale P.C.I., ’62 deputato alla camera P.C.I., ’76 commissione parlamentare antimafia, legge contro il reato di associazione mafiosa e confisca dei beni, ’81 si oppose alla costruzione della base NATO di Comiso con una petizione in calce a un milione di firme, ’82 assassinato dalla mafia),
Si aprì un periodo di lotte con occupazione delle terre che si protrasse fino agli anni 50.
La crescente pressione data dalla tensione sociale, dapprima frammentata e poi organizzata, portò al “decreto Gullo” il 19 ottobre del ’44 (concessione di terre incolte o mal coltivate a contadini organizzati in cooperative),in realtà le concessioni delle terre non avvennero se non sporadicamente e i contadini continuarono ad occupare simbolicamente le terre, dissodandole e piantando delle bandiere.
L’1 Maggio del ’47 si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, sospesa durante il ventennio fascista. Circa duemila contadini si riunirono in località Portella della Ginestra, una vallata vicino Piana degli albanesi, PA, per manifestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria alle regionali del “blocco del popolo” con il 29% dei voti.
Improvvisamente delle raffiche di mitra che perdurarono per circa un quarto d’ora, stroncarono la vita di 11 persone e ne ferirono una trentina, alcuni morirono successivamente per la gravità delle ferite riportate.
Nel ’49 vi fu l’occupazione del feudo di Campo Fiorito, terminata con arresti e repressione giudiziaria.
Nel ’50, Pio la Torre alla testa di seimila contadini occupò il feudo di Santa Maria del Bosco di oltre duemila ettari ma l’occupazione si concluse con un assedio da parte dei carabinieri che spararono sui manifestanti ferendone diversi.
Sempre nel ’50 De Gasperi non fece una riforma agraria generale, ma avviò alcune leggi volte alla distribuzione delle terre “scarsamente produttive”.
La scarsa consistenza dei lotti assegnati, riuscì ad assicurare il mantenimento degli assegnatari solo dove furono realizzate infrastrutture, case coloniche e opere irrigue. Come in Maremma, in Val Padana e in alcune zone costiere del mezzogiorno.
La riforma agraria degli anni ’50, in Sicilia non generò né benessere diffuso né l’auto sussistenza dei beneficiari.I fondi erano insufficienti (seminativi da tre a sei ettari), improduttivi e non serviti da adeguate vie di comunicazione e acqua irrigua. Spesso lontani dai paesi rurali di provenienza.
Si assistette inesorabilmente alla fine di un lungo periodo di lotte e al crescente fenomeno dell’abbandono delle campagne, i contadini cercarono “fortuna” nelle fabbriche del nord Italia o all’estero.
Nel 1957, come è noto, Italia, Belgio, Francia, Germania Federale, Lussemburgo e Paesi Bassi fondavano, con i trattati sottoscritti a Roma il 25 marzo di quell'anno, la Comunità Economica Europea, nell'ambito del cui ordinamento, al fine di instaurare un regime di libera circolazione delle merci e delle persone, fu prevista tra l'altro una speciale, e tendenzialmente completa, disciplina del settore delle produzioni agricole, instaurandosi anche una Politica agricola comune (PAC).
Il riferimento alla "struttura sociale" è emblematico per dimostrare come, quando fu redatto il Trattato di Roma, non si era di fatto compiuto ancora quel grande mutamento sociale che, con la "fine del mondo contadino" avrebbe segnato il ventesimo secolo e come si sia imposta, negli anni sessanta e settanta dello scorso secolo, una filosofia della politica agricola comunitaria che, sia pure in una prospettiva di mercato, dovesse comunque evitare ogni drastico e traumatico ridimensionamento della società rurale.
Di questa nuova politica e delle relative limitazioni, può dirsi che la Sicilia conservi storicamente la documentazione nel proprio ambiente, essendo stato, in modo appariscente, lo stesso paesaggio a mutare, in funzione delle coltivazioni che, valutate in un'ottica di mercato allargato, ricevettero o no il sostegno Comunitario, sulla base di scelte ormai europee. Un settore che fu visibilmente colpito, con risultati di trasformazione della tradizionale campagna siciliana fu, per esempio, quello delle coltivazioni degli agrumi, coltivazioni che dovettero subire la concorrenza di altri paesi della Comunità e di paesi extracomunitari con cui la CEE era andata stipulando trattati commerciali di favore.
Alla fine del 2000, il conferimento di terreni scorporati per l'assegnazione a coltivatori diretti poteva riassumersi in 112 mila ettari circa, suddivisi in circa 25 mila lotti mentre i terreni effettivamente assegnati sono stati della consistenza di circa 100 mila ettari.
Ma… il mondo contadino è finito lo stesso!E si parla ora di riaccorpamento dei fondi ai fini di creare aziende di dimensioni tali da poter conseguire "economie di scala". Se la politica comunitaria intravede ora azioni per la valorizzazione delle produzioni tipiche e per la protezione di prodotti particolari (specialmente frutta) che, nella guerra dei mercati e dei prezzi, sono risultati soccombenti e rischiano quindi di scomparire, deve pur sempre dirsi che ciò è possibile in una visione correttiva di un andamento che ha avuto come base, esclusivamente, le leggi del mercato; mentre non vi è dubbio che ormai anche l'agricoltura siciliana nel suo stato complessivo, è entrata in quella condizione che il Trattato comunitario definisce, come abbiamo visto, “dell'intima connessione con l'insieme dell'economia”; per cui sono ora le imprese agricole ad aver rilievo: come le imprese industriali.
Nel libro "Il Secolo breve" Eric. J. Hobsbawm, esaminando i mutamenti sociali verificatisi nel corso del ventesimo secolo, al suo compimento, osserva che "il mutamento sociale più notevole e di più vasta portata della seconda metà del secolo, quello che ci taglia fuori per sempre dal mondo del passato, è la morte della classe contadina." Questo storico riflette che tale fenomeno, certo non dovuto unicamente alla migliorata produttività della terra ed alla politica di riduzione degli addetti all'agricoltura, è fenomeno irreversibile perché quella che è finita non è la cura dei campi per produrre generi alimentari, ma una concezione morale ed un rapporto sociale tra l'uomo e la terra del tutto speciali, durati millenni. 2
In realtà ciò che sembra scomparso esiste e resiste in zone interne della Sicilia dove, si conserva ancora quella continuità millenaria del rapporto speciale, tra il contadino e la terra.
Si riparte da qui, dal recupero di quei saperi, riappropriandosi e riscoprendo le proprie radici culturali, vera forza motrice per contrastare il deserto fisico e culturale che il mercato globale sta imponendo.
Pare chiaro, nell’ottica anticapitalistica, che la scomparsa del contadino e della consapevolezza di classe pone un grosso limite alla lotta nelle campagne.L’imprenditore agricolo in antagonismo con gli altri imprenditori, verso un mercato globale che ha stravolto l’aspetto sociale ed economico dei nostri territori, non può essere il nostro referente nella lotta al capitalismo, al predominio delle multinazionali e del sistema bancario in grado di asservire le politiche agricole al mercato, a discapito dei diritti dei lavoratori, della conservazione del paesaggio rurale e delle reali esigenze dei singoli territori.
Questa analisi rende chiara la difficoltà di determinare un reale cambiamento dell’assetto socio-economico in ambito agro-alimentare e non solo.
Il raggiungimento della sovranità alimentare e la rideterminazione dei territori con processi partecipativi non possono avere luogo se non supportati da una forte organizzazione in grado di interpretare le istanze territoriali, sostenere e se necessario, coordinare i presidi al fine di rendere efficienti e credibili i sistemi proposti. Le rideterminazioni territoriali potranno avere luogo soltanto con il coinvolgimento delle masse e con l’unione delle lotte presenti nelle campagne e in città.
Le tensioni sociali in ambito agricolo rimangono alte e spesso dirottate verso illusori nemici come il bracciantato migrante, in nero e sottopagato che immancabilmente va in competizione con un sempre più alto numero di piccoli agricoltori che abbandonano l’attività, resa improduttiva e antieconomica dalla concorrenza del libero mercato e dalla corsa al prezzo al ribasso, basato su sistemi di sfruttamento della terra e della manodopera.I contadini ritornano quindi ad essere “braccianti senza terra”, spesso anch’essi privi di contratti. Viene innescata la “guerra tra poveri” che prontamente dovrà essere disinnescata grazie alla controinformazione di soggetti riconosciuti, in grado di direzionare il conflitto verso il vero destinatario.
Il bracciante senza terra sarà dunque il nostro referente col quale costruire un percorso di lotta, insieme alle piccole realtà contadine e alle realtà produttive di tipo cooperativistico.
Nell’organizzare sistemi di produzione e logistica autogestiti e percorsi di mutuo soccorso, non si può rimanere scollati dai comparti produttivi e dalle problematiche del mondo del lavoro.
I nuovi modelli che proponiamo e ci avviamo a costruire, dovranno interagire con i comparti inseriti nel sistema, contaminarli e condurli ove è possibile a replicare i percorsi e i sistemi da noi proposti.
Il raggiungimento dell’auto-reddito attraverso il sostegno di un organizzazione che consolida delle reti mutualistiche e di altro-mercato, rende possibile la nascita e il consolidamento di presidi territoriali, in campagna e in città.
Delle vere avanguardie di lotta che non devono sopire al raggiungimento della propria autonomia e benessere ma in ogni processo dovrà rimanere viva la tensione e il conflitto di classe.
Si aggregano in tal modo produttori (contadini, allevatori, trasformatori) in reti solidali e politicamente attive e consapevoli. Si resiste al neo liberismo, al mercato globale, alla repressione poliziesca e giudiziaria, grazie a questi meccanismi di auto organizzazione e di solidarietà, volti a creare cooperative e comunità attive. I presidi di autogestione dislocati in città e in campagna mirano a soddisfare bisogni primari: casa, lavoro, salute, istruzione, cibo sano a prezzi popolari.
Creare dei sistemi replicabili ed economicamente sostenibili, vuol dire, in questa fase, uscire dalla marginalità dei micro sistemi locali in quanto vulnerabili, scollegati ed economicamente non autonomi.
Sarà necessario gradualmente superare il limite delle monocolture indotte dalla PAC e ricucire un rapporto fiduciario diretto tra le campagne e le comunità cittadine.
Sarà un percorso di accompagnamento volto al soddisfacimento di tutti i bisogni a livello locale in un ottica di non competizione ma di pianificazione partecipata e di cooperazione tra tutti i soggetti in campo.
1”Storie di Sicilia” di Fara Misuraca;
2”L’intervento pubblico nell’agricoltura siciliana e la fine del mondo contadino” di Giuseppe Palmeri.