Fermare la guerra, demilitarizzare le coscienze

La drammatica situazione in Ucraina oltre alle mobilitazioni in corso richiede una riflessione collettiva. Pubblichiamo un primo contributo alla discussione

Piero Maestri

La guerra di aggressione scatenata dal presidente russo Putin contro il territorio dell'Ucraina non ha alcuna giustificazione, alcuna ragione, nessuna possibile comprensione. Come già abbiamo detto in altre occasioni, siamo contro questa guerra senza se e senza ma.

Sappiamo bene che questa guerra non è isolata, non è un fulmine a ciel sereno, ma è purtroppo totalmente inserita nelle dinamiche dei rapporti di forza e di potere tra grandi potenze e tra differenti settori capitalisti a livello mondiale. Ma questa comprensione non ci rende meno odiosa l'aggressione russa.

Riconosciamo nelle vittime ucraine dei bombardamenti gli stessi volti di quelle irachene, afghane, siriane, yemenite – e purtroppo la lista potrebbe continuare a lungo solamente pensando agli anni del “dopo guerra fredda”. Riconosciamo nei volti delle persone che fuggono gli stessi volti delle persone in fuga, in cerca di asilo o migranti al di là delle convenienze dei governi occidentali

Riconosciamo nella volontà russa di scatenare questa guerra la stessa volontà di sopraffazione e disprezzo per la vita, la pace, la convivenza sociale già mostrata molte altre volte dai “nostri alleati” Stati uniti e da tanti altri governi più o meno democratici. Compreso quello italiano (D'Alema presidente del consiglio)che bombardava Belgrado raccontandoci la favola della “difesa avanzata”.

Di fronte a questa guerra non abbiamo alcun dubbio su quale sia la nostra parte e la nostra priorità; stiamo dalla parte della popolazione che vive in Ucraina – vogliamo che la guerra cessi immediatamente e sia posta fine all'aggressione russa contro il territorio ucraino.

E se queste sono le nostre priorità ne traiamo la necessaria conseguenza: vogliamo fare tutto quello che è nelle nostre possibilità per sostenere la popolazione che vive in Ucraina – a qualsiasi nazionalità appartenga – e alla popolazione che fugge dall'Ucraina nei loro bisogni materiali, sociali, politici; vogliamo sostenere in ogni modo la parte di popolazione in Russia che coraggiosamente si oppone visibilmente e fattivamente alla guerra; vogliamo fare quello che ci è possibile per boicottare la guerra e manifestare la nostra opposizione.

In questi anni abbiamo imparato quanto sia necessaria una politica e una pratica mutualista e conflittuale e da questo punto di vista vogliamo attraversare il conflitto. Mutualismo che significa in primo luogo una relazione diretta con le donne e gli uomini ucraine/i in Italia e con le persone in Russia che non vogliono questa guerra – per provare insieme a loro a smilitarizzare le nostre coscienze e le nostre relazioni, e con loro capire quale sostegno possiamo dare qui e nei loro paesi.

Comprendiamo la richiesta legittima che viene dall'Ucraina – non solo da istituzioni che avversiamo, ma anche da settori popolari e di sinistra - di un aiuto diretto anche attraverso la fornitura di armi alla “resistenza”. È un diritto sancito anche dalla legge internazionale quello di difendersi da un aggressione. La comprendiamo ma non siamo convinti che possa essere davvero un aiuto di fronte a quello che succede. Temiamo soprattutto che la fornitura da parte della Nato e dell'Unione europea crei più problemi che soluzioni.

Naturalmente ci spaventa il rischio di escalation ventilato dallo stesso presidente Putin – così come ci pare inaccettabile  che un cessate il fuoco avvenga sotto il ricatto di chi sta bombardando città e paesi. Ma non è questo il punto principale che motiva il nostro disaccordo con la scelta di fornitura di armi da parte di Nato e UE,

Quello che ci spaventa è l'accelerazione di una tendenza alla militarizzazione del nostro continente, la risposta pavloviana per cui l'unica possibilità che abbiamo di fronte è l'aumento delle spese militari, il rilancio della produzione bellica, ancora e ancora più armamenti letali sul territorio europeo.

Questa guerra – come le dinamiche europee degli ultimi 30 anni – ci convince che l'unica strada possibile sia quella della demilitarizzazione, del disarmo, della progressiva abolizione degli eserciti e degli armamenti contrapposti. Da tutti i paesi europei e attraverso una mobilitazione dal basso, perché non potrà mai essere un accordo di vertice tra chi rappresenta gli interessi del sistema stesso che su armi e guerra costruisce profitti.

La decisione della UE e della Nato oggi non è finalizzata all'aiuto della popolazione ucraina, pedina sacrificabile in un gioco più grande, ma a rilanciare l'unica strada che questi governi, questa classe politica, questo sistema conosce: quella che ancora recita che volendo la pace bisogna preparare la guerra. Un riflesso della logica che ha portato il presidente russo a invadere l'Ucraina.

Pensare anche in questo caso ad un'interposizione civile di pace, dal basso ma anche organizzata magari dal parlamento europeo e dai parlamenti nazionali. Si tratterebbe di un passo concreto in difesa della popolazione ucraina e contro la logica bellica.

Non poter accettare la logica della propaganda bellicista implica un forte impegno contro la guerra e contro chi la pianifica e la propaga.

Non vogliamo essere arruolat* in nessun fronte, non abbiamo nemici nelle popolazioni di tutto il mondo. Non siamo soldat* di nessuno. Abbiamo come nemico il sistema che produce le guerre e chi le prepara e le pratica.

Per questo non condividiamo l'atmosfera russofoba che serpeggia – ma ribadiamo la scelta del boicottaggio, del disinvestimento e delle sanzioni dal basso, contro ogni politica di sopraffazione e di guerra. Lo abbiamo praticato davanti alla guerra dei governi turchi contro la popolazione curda, lo abbiamo diffuso di fronte al razzismo istituzionalizzato in Sudafrica, sostenuto di fronte alle politiche di apartheid israeliane, lo sosteniamo oggi di fronte alle politiche di guerra russa. Isolare, boicottare, sanzionare le istituzioni che fanno la guerra, sostengono la guerra, legittimano il governo russo della guerra è un nostro dovere.

Mobilitarsi e mobilitare contro la guerra esistente e quelle possibili, qui e ora,  non si ferma alla denuncia dell'aggressione russa e alla rivendicazione della fine della stessa e del ritiro dei soldati russi. Significa anche riflettere sugli obiettivi politici da rivendicare nel nostro paese e in Europa (i luoghi in cui viviamo ai quali contribuiamo con la nostra partecipazione politica e dove abbiamo uno spazio di diritto):

  • drastica riduzione delle spese militari e demilitarizzazione progressiva della "difesa" e della "sicurezza" (a partire naturalmente dal disarmo nucleare e dallo smantellamento delle basi militari al'estero)
  • fuoriuscita dall'alleanza militare di cui siamo parte, la Nato – che deve essere smantellata
  • impegno per un'Europa smilitarizzata e neutrale
  • una politica estera guidata dal rigoroso rispetto dei diritti umani e quindi senza vincoli pericolosi con governi che li violano
  • fuoriuscita dal sistema energetico fossile per conquistare autonomia energetica basata sulle rinnovabili e sulla democrazia energetica.

Inutile aggiungere che per questo serve un movimento contro la guerra consapevole delle radici di questa e della necessità di una lotta di largo respiro. Un movimento capace di concreta solidarietà con le lotte e le resistenze popolari contro autocrazie e dittature.

 


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