Un anno di Partinico Solidale.

Si è appena conclusa la festa del primo compleanno della Partinico solidale, due giorni di teatro, musica, canti popolari, cene con cibo di qualità per tutte e tutti, proiezioni, dibattiti e realizzazione di un murale.

di Martina Lo Cascio, Francesca Romeo, Valentina Speciale - Fotografia di Elena Norman

Queste due giornate sono principalmente una festa, una celebrazione di tutte le attività che abbiamo svolto durante l'anno. Ogni attività in programma è frutto di un percorso: l'inizio di ragionamento sui beni comuni è una necessità perché vogliamo confrontarci sulle possibilità di vivere l'arena solidale oltre il pubblico e il privato, sui processi decisionali in questa piazza, sulla comunità che la vive, sul metodo organizzativo di cui questa si dota e sui nuovi modi di relazionarsi con le istituzioni; il teatro “che non c'è” di paglia e la performance delle bimbe e dei bimbi è stato frutto del gruppo permanente sull'educazione informale, il concerto del coro Kantali di Partinico Solidale che ha ospitato il coro di canto popolare siciliano Unicavuci e Matilde Politi è il cuore perché ci ricorda che noi pretendiamo di vivere l'arena e Partinico, le cene a contributo libero con i prodotti del nostro orto collettivo e i prodotti fuori mercato riportano al centro i bisogni primari e la necessità di raggiungerne il soddisfacimento attraverso l'aiuto-reciproco ognuno secondo le proprie possibilità, il confronto con i collaboratori del centro studi e iniziative per la piena occupazione ci rincuora e ci fa crescere, gli approfondimenti su Fifiddu Robino a cui è dedicata la nostra Casa del Mutuo Soccorso, un bicilettaio che come tanti altri partinicesi permise negli anni '50/'60/'70 di costruire le mobilitazioni collettive che vengono identificate con Danilo Dolci ci ricordano l'importanza e le possibilità di ognuno di noi oltre le capacità individuali, la proiezione molto partecipata di “Ricordare Anna”, una storia di amore e libertà nella Partinico degli anni '80.

Una storia di perdizione drammatica che vede diverse forme di amore lottare contro i pregiudizi e il degrado per affermare la voglia di vivere tra Zurigo, Mirto, il cretto di Burri a Gibellina e le vie semplici di Partinico, che ci ha emozionato.

E infine la realizzazione del murale per noi importantissimo perché segna la nostra presenza in quella piazza da noi ribattezzata solidale pur consapevoli dei conflitti e delle contraddizioni. Non segnamo in quel muro la nostra presenza in modo celebrativo ma per dire che qui in questo posto uno modo di fare è stato e sarà difficile cancellarlo. Un modo indipendente dagli interessi privati e partitici, dell'ascolto, della presa di posizione, della solidarietà attiva e del far da sé. È quello è un segno che tutti se vogliono possono incidere in quell'arena e ancora in tante altre.

Ah il murale rappresenta, per idea delle bimbe e dei bimbi della piazza, tre cani, tre famosissimi cani: Pupetta, Zorro o Nerina per le amiche e il maestoso Totò. Sono cani che presidiano la piazza, che ci seguono in tute le attività, che sono diversi tra loro e stanno insieme, che sembrano randagi ma sono curati da una comunità che si organizza attorno a loro.

I nostri cani di quartiere ci insegnano che dove sembra ci sia il caos si possono anche vedere libertà e regole invisibili frutto di comunità che esistono e vogliono vivere!

 

Di seguito il nostro intervento per raccontare questo anno:

Il politico per come ci viene sempre raccontato sembra anaffettivo, sembra non abbia nulla a che fare con l’emotivo, col personale. La politica viene percepita in questo modo come un qualcosa di lontano da noi, che con noi non ha nulla a che fare, ma che di fatto condiziona le nostre vite e le determina concretamente. Il privato viene visto sempre e solo come interesse personale, mentre qui il personale viene posto e riconosciuto come bisogno collettivo.

Partinico solidale nasce in risposta a degli episodi razzisti e violenti che si sono verificati nel nostro territorio esattamente un anno fa. Di quei momenti noi diciamo solo questo, non entrando nel dettaglio, non per sminuire i fatti, gravissimi, ma per il semplice motivo che quei fatti sono stati il nostro input, la molla che ha fatto scattare l’esigenza di mostrare a tutti, iniziando da noi stessi, una Partinico diversa da ciò che è stato rappresentato, arrivando alla ribalta nazionale. Volevamo mostrare “l’altra faccia della medaglia”, senza però voler mai dimostrare qualcosa.

Partinico sembra un posto irredimibile, come se fosse esplosa una bomba e fosse tutto da ricostruire daccapo. È un territorio che sembra aver perso la propria memoria, la sua storia, dove la rassegnazione allo stato di cose presenti prende spesso il sopravvento, per cui qualsiasi cosa/iniziativa viene accompagnata dalla solita litania “a Partinico non si può fare niente/ Partinico non merita niente”, sostituita, quando poi la cosa riesce ed è un successo, dal sempreverde “bello, ma quantu dura?”.

Negli ultimi 15 anni siamo stati circondati dal degrado politico, materiale e culturale, e fagocitati quasi fino al punto di abituarci a tutto questo e cullarci nella rassegnazione.

Partinico è decenni di politica clientelare, di gestione personalistica della cosa pubblica, di connivenza e sottomissione ai poteri forti. È discariche a cielo aperto in pieno centro storico, dove il Comune non fornisce alcun servizio, anzi non riesce nemmeno a gestire l’ordinario da anni e solo adesso ha dichiarato ufficialmente il dissesto economico finanziario. A Partinico gli spazi pubblici di aggregazione sono rari e quelli che esistono sono totalmente abbandonati. Questa è la nostra normalità e sembra non ci sia alcun motivo per rimanere qui, anzi se hai un minimo di considerazione per te stesso sei obbligato a pensare e a costruire il tuo futuro fuori, ovunque ma non qui. “A Partinico sembra che lo stato non esista”.

Di fronte a tutto questo ci sono solo tre possibili scelte: andare via - rimanere e subire passivamente - oppure rimanere, resistere e provare a cambiare le cose.

Noi abbiamo scelto di esistere, perché pensiamo che Partinico meriti una visione nuova, che noi partinicesi, intesi come persone che per svariati motivi si trovano qui (perché ci sono nati, perché vorrebbero viverci o semplicemente perché di passaggio), meritiamo la possibilità di rimanere e poterci pensare qui.

 

“La solidarietà crea comunità”

Ci siamo posti sin da subito con estrema semplicità e senza alcuna pretesa, retti dalla forza dei due unici principi che ci siamo dati per definirci: noi siamo antirazzisti e solidali. In questo modo abbiamo definito confini, siamo stati escludenti in quanto abbiamo chiarito sin da subito con chi non volevamo avere a che fare e con chi non avremmo mai discusso, rimanendo sempre aperti e accoglienti a tutto il resto, in ascolto. Da qui la scelta di rimanere assemblea e non costituirci in associazione, da qui il metodo della discussione volta sempre al fare e mai al celebrare, della condivisione delle scelte che si traduce concretamente in riunioni continue che durano ore, in uno stare sempre insieme dove non si capisce più quando ci vediamo veramente solo per stare insieme, perché poi ci ritroviamo ad analizzare quello che abbiamo fatto, a pensare a come migliorarci e a parlare

di quello che ancora vorremmo fare.

“Ma tu come conosci Richard?”. “Ci siamo presentati”, risponde Emanuele di 7 anni! Partire senza pregiudizi significa porsi dalla prospettiva che siamo tutti uguali (senza distinzione di sesso, razza, religione, condizione sociale ed economica) e che quello che ci distingue è ciò che facciamo, che poi riporta inevitabilmente a ciò che siamo, per cui il fare insieme è lo strumento che abbiamo scelto per conoscerci e progettare. Ieri è stato detto, non per sminuire quello che facciamo ma perché è un dato di fatto, che noi facciamo cose semplici: riaccendiamo le luci e portiamo colore. Così a poco a poco traduciamo in pratica la rivendicazione e il nostro bisogno di riappropriarci di spazi e beni comuni: se il Comune non cambia le luci, non toglie le erbacce e i rifiuti dall’arena, allora lo facciamo noi. Non perché sia giusto o normale, perché anche noi ci siamo rassegnati al fatto che “a Partinico è così e non cambierà mai niente” o vogliamo sostituirci ad una politica assente ed incapace, ma per far capire, a noi stessi prima che agli altri, che è veramente semplice e basterebbe realmente poco per stare bene a Partinico: volontà e pazienza, in sintesi cura.

E siccome noi ci vogliamo stare allora insieme cerchiamo il modo per renderlo possibile, senza aver mai paura di riconoscere i limiti e porre in evidenza le contraddizioni.

“Se penso all’arena solidale penso a me stesso”.

Chi siamo? Vogliamo essere risposta collettiva a bisogni individuali.

Siamo partiti da noi e lì sempre ritorniamo, nati sin da subito come realtà eterogenea, inclusiva e sempre aperta alla contaminazione, ma ben definita nei metodi e negli obiettivi.

Ci siamo dati la possibilità di riprendere parola e riappropriarci delle cose di cui abbiamo bisogno, tutto questo mai in forma singola ma sempre collettivamente. Ed ogni pezzetto che ci costituisce è parte fondamentale di questo racconto collettivo che stiamo facendo di noi da un anno.

Tutto questo è solo la narrazione di ciò che concretamente siamo, in sintesi: il gruppo di educazione informale con i suoi laboratori creativi con i bambini, secondo le semplici regole del rispetto degli altri (creatività) e dei nostri spazi (riciclo e riuso); la casa del mutuo soccorso “Fifiddu Robbino” che accoglie bisogni e desideri e si fonda sulla reciprocità; il coro Kantali, memoria collettiva aperta alle contaminazioni.

Il nostro fare, tutte le iniziative grandi e piccole che noi abbiamo sempre pensato e costruito come eventi pubblici e aperti a tutti e tutte, sono per noi strumenti, occasioni di incontro che, ci diciamo sempre, “incontrare una persona vuol dire aprire un mondo” con tutti gli aspetti positivi e negativi che ciò comporta, con tutta la difficoltà a capirne e gestirne le contraddizioni.

Aprire mondi, essere risposta collettiva a bisogni individuali, vuol dire porre questioni politiche. Noi abbiamo fatto tanto in questo anno di attività e abbiamo aperto temi importanti che ci siamo riproposti di affrontare nuovamente, dandoci il giusto tempo e gli strumenti opportuni per farlo. Penso al tema dell’accoglienza, questione che emoziona perché si traduce nel volto di una persona che conosciamo, con la quale siamo entrati in contatto e abbiamo condiviso vissuto, paure ed esperienze. In quell’occasione abbiamo reagito bene perché abbiamo agito stringendoci in gruppo, siamo riusciti a far fronte all’emergenza, ma non è abbastanza e la questione generale rimane per noi aperta.

Penso al tema dell’educazione in condizioni familiari, sociali ed economiche difficili, al vivere in totale assenza di prospettive, che poi è un sopravvivere, al non avere altri punti di riferimento se non se stessi, che se cadi puoi essere forte quanto vuoi ma se non c’è nessuno accanto è più difficile riprendere a camminare.

Penso ai luoghi in cui abbiamo deciso di vivere, pensare e discutere di tutto questo, al tema dei beni comuni che finora abbiamo praticato ma di cui abbiamo accennato solo un inizio di ragionamento.

Siamo cambiati? Si perché il fare/conoscere cambia. Intervenire nei luoghi vuol dire concretamente entrare in contatto con cose, persone, situazioni belle, brutte o semplicemente nuove, e se sei in posizione di ascolto tutto questo inevitabilmente ti cambia, ti mette in discussione e, se vuoi, ti migliora.

È passato un anno, sembra passata una vita, eppure sembra sempre poco. Oggi non è una celebrazione o un auto elogio. Anche oggi è “semplicemente” una festa, un ulteriore momento che ci siamo dati, lasciando sempre un segno (stavolta tangibile attraverso il murale) di ciò che è stato, sempre però pensando subito in prospettiva a ciò che ancora potrà essere.

 


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