Mutualità e conflitto nelle campagne e ruolo dei migranti. Percorsi di produzione in autogestione
Quando abbiamo deciso di avviare l’autoproduzione di salsa di pomodoro con etichetta ‘Sfrutta Zero’ volevamo provare a combinare la denuncia delle condizioni di lavoro nelle campagne con l’avvio di una piccola pratica di economia solidale, rispettosa dell’ambiente e della salute; ma soprattutto provare ad organizzare insieme native/i e migranti per rispondere a bisogni ed esigenze di vita quotidiana. Come? Continuando con le attività di supporto e solidarietà verso i migranti con al centro la riappropriazione del lavoro, quello dignitoso.
Consapevoli di non poter raggiungere immediatamente questi obiettivi, non potevamo abbandonare l’aspetto vertenziale che ci ha sempre caratterizzato nel sostenere le molteplici rivendicazioni legate all’accoglienza, all’accesso alla casa, al raggiungimento della protezione internazionale o del permesso di soggiorno.
A causa di quello che definiamo ‘razzismo istituzionale’ queste istanze si sono intrecciate con le vertenze per ottenere tutele sul lavoro, per vedersi riconosciuto un salario diretto ed indiretto regolare. Istanze che hanno iniziato a riguardare anche noi, attivisti e attiviste organizzate in collettivi politici e sociali, facenti parte di un pezzo di questa società subalterna e precarizzata.
Nel promuovere vertenze ed azioni solidali di accoglienza dal basso attraverso occupazioni a scopo abitativo, sportelli per il supporto legale e sindacale, organizzazione di corsi di italiano e tanto altro, il rischio è quello di sostituirsi alle Istituzioni assenti o interessate ad altro, oppure legarsi al mondo dell'imprenditoria e del terzo settore. Per noi invece l'intento è quello di essere strumento di critica e supporto concreto ai e alle migranti nei loro percorsi rivendicativi basati sull'autorganizzazione. L’assistenzialismo non è di nostra competenza. Per questo abbiamo definito queste pratiche di "mutuo soccorso conflittuale": da una parte far fronte ai bisogni quotidiani (documenti, abitazione dignitosa, trasporto pubblico), dall'altra accumulare forze per provare ad ottenere ciò che dovrebbe spettare a tutt*. In altre parole abbiamo sempre cercato di costruire percorsi conflittuali contestuali alla ricostruzione di embrioni di nuove istituzioni dal basso, fondate sull'autogestione ed emancipazione, sulla giustizia sociale.
Tutto questo però ha dovuto fare i conti con le difficoltà e l'insufficienza del nostro agire. Col tempo ci siamo chiesti come riuscire a rendere sostenibili (anche economicamente) queste azioni solidali per non lasciarle isolate. Da qui è emersa la necessità di fare organizzazione, di cui Fuori Mercato come spazio aperto ed inclusivo, può contribuire a questa esigenza intrecciandola con la dimensione politica, quella che riguarda la messa in discussione dei dispositivi legislativi ed amministrativi che creano divisione, confini e gerarchie territoriali e globali, di cittadinanza e salariali.
Non solo. Una volta avviati questi progetti produttivi a carattere mutualistico (nel nostro caso SfruttaZero) è sorta un’altra questione di fondo. Come rendere queste pratiche lodevoli a carattere stagionale in attività costanti nel tempo? Nel comparto agro-alimentare (quello più vicino alle nostre filiere produttive in costruzione) come accediamo alle terre o ad agli altri mezzi di produzione, logistici e di trasporto? E accanto alla riappropriazione del lavoro, come riusciamo a soddisfare le esigenze quotidiane riguardanti l’alloggio, il trasporto pubblico o la garanzia a cure mediche regolari?
Di fronte a queste domande esistono già degli esempi concreti di come creare una dinamica virtuosa. In Europa e nel mondo la Via Campesina, il Movimento Sem Terra in Brasile, la CIC (Cooperativa Integral Catalana) ne sono un esempio. In Italia sul versante della riappropriazione delle terra, Mondeggi rappresenta a pieno questo percorso; ma anche il recupero di terre demaniali (e non solo) o quelle confiscate alle mafie può diventare una pratica per assicurarsi dei fondi sui quali lavorare senza padroni. Oltre la terra, l’occupazione e la riapertura in città di fabbriche o spazi abbandonati possono diventare luoghi produttivi, di stoccaggio e distributivi. Partendo dalla RiMaflow, esempio di riappropriazione produttiva ecologicamente sostenibile avvenuta grazie ad un’azione conflittuale, negli ultimi anni diversi spazi sociali occupati o cooperativi ammortizzano gli insostenibili costi di affitto per un laboratorio produttivo o per un magazzino attraverso percorsi rivendicativi e mutualistici. Queste pratiche stanno attraversando anche i nodi della rete FM da sud a nord.
Sul versante dell’accesso alla casa, esistono delle esperienze in Puglia di occupazione o riapertura e recupero a scopo abitativo di immobili pubblici abbandonati, come l’ex fabbrica Granarolo di Foggia (sostenuta dal collettivo Pro/Fuga) oppure l’ex liceo Socrate e Villa Roth a Bari. Nelle mille difficoltà qui si garantisce un alloggio dignitoso a migranti e italiani/e insieme (come nel caso di Villa Roth). Sono spazi dove si crea comunità, si dà vita a piccole esperienze artigianali o di autocostruzione (nell’ex Granarolo si sono allestiti dei pannelli fotovoltaici); sono potenziali luoghi per ambulatori autogestiti. Alcuni abitanti sono parte integrante dei progetti agro-alimentare di FM; ci sono sarti e sarte, muratori, elettricisti, idraulici, docenti di arabo nei loro paesi di provenienza, ottime e ottimi cuochi. Altri ancora sono lavoratori attivamente impegnati nelle vertenze bracciantili.
Quindi nonostante la continua precarizzazione della loro vita, causata dall’assenza di tempi certi di regolarizzazione dei documenti e dalla continua criminalizzazione che subiscono, i e le migranti da anni stanno dimostrando dignità e capacità conflittuali che articolano la dimensione lavorativa legandola a quella dello status giuridico e dei diritti di cittadinanza. Negli ultimi tempi in Capitanata (tra settembre 2015 e agosto 2016) i lavoratori e le lavoratrici delle campagne sono riusciti/e con manifestazioni e forme di scioperi e blocchi inattesi ad indicare non solo nelle Istituzioni, ma anche nelle grandi industrie di trasformazione come la Princes a Foggia, i reali responsabili dello sfruttamento e delle ingiustizie lungo la filiera produttiva agro-alimentare. Sulla presenza di un movimento di braccianti si può leggere l’articolo di M. Perrotta: ‘Braccianti in movimento’ apparso sull’ultimo numero della rivista Lo Straniero.
Partendo dalle lotte migranti, dare centralità alle vertenze e alle istanze economiche necessita anche la creazione di strumenti di (auto)formazione collettiva sia per raggiungere l’obiettivo immediato (quello per il soddisfacimento dei propri bisogni) sia per costruire una prospettiva politica affinché tutto quanto costruiamo acquisisca una visione anticapitalistica e rivoluzionaria.
Per questo come riusciamo a intrecciare la spinta propulsiva dell'autorganizzazione dei migranti per i diritti, il lavoro e la dignità, con le nostre esperienze di agroecologia e di economia solidale? Come teniamo insieme le pratiche di ’autorganizzazione conflittuale’ con i progetti di autodeterminazione alimentare, artigianale, artistiche?
L’attività produttiva agro-alimentare (e non solo) di trasformazione e distribuzione è una delle finalità dei nodi di una rete come FM. Strumentalmente questa unità di base si riappropria di uno spazio, di una fabbrica o di una terra, la occupa, avvia un’istanza per l’assegnazione o una vertenza per il riconoscimento da parte delle Istituzioni. In questo agire quotidiano si costruisce politicamente una soggettività composta da migranti e nativi/e, tutti insieme. Questo pezzo di attività si coordina con altre realtà di base territoriali (associazioni, collettivi, cooperative agricole, masserie, ecc.) nella gestione comune di un pezzo di terra, delle sue sementi, per l’acquisto (attraverso bandi pubblici o crowdfunding) di un mezzo di trasporto o altro. Si coordinano insieme attività per l’allestimento di un laboratorio produttivo o artigianale formale o informale, per l’utilizzo congiunto di magazzini o Empori Fuorimercato, che facciano da legame lungo le filiere tra campagna e città.
Su questa scia, a Bari abbiamo sperimentato la produzione in autogestione (che tuttavia necessita di maggiori tutele giuridiche e fiscali) coordinandoci con diverse realtà presenti sul territorio legate e non a FM: Diritti a Sud e Cooperativa Siloe (per l’acquisto dei pomodori mediante l’autocertificazione partecipata e concordando insieme il prezzo), con OrtoCircuito e Masseria del Monelli (per l’attività di trasformazione della passata). E poi in città con il Bread&Roses-Spazio di mutuo soccorso, ConvochiamociperBari e di nuovo con Siloe per la logistica e la distribuzione.
In questi luoghi è fondamentale che la riappropriazione del lavoro senza padroni e le produzioni in autogestione si intreccino con la questione e la lotta contro la violenza di genere, dove gli orientamenti sessuali siano valorizzati e non schiacciati, dove le tematiche ambientali e di solidarietà internazionalista possano favorire dibattito politico, anche attraverso la promozione e la diffusione di case editrici indipendenti, le stesse che operano fuori dalle logiche del mercato dell’editoria dominante.
Un nodo che costruisce con altri un’organizzazione economica nazionale deve anche autofinanziarsi, attraverso attività aggregative e sociali come feste e concerti, ma anche dando vita a un ristorante popolare, a spacci autogestiti utilizzando prodotti della stessa rete FM e non; dedicarsi al sostegno alle lotte e rivendicazioni di tutti quei lavoratori e lavoratrici delle campagne e non, che continuano ad essere forza-lavoro usa e getta funzionale ai profitti della GDO.
A riguardo una cassa di mutuo soccorso nazionale (insieme a quelle territoriali) può fungere da strumento concreto sia per sostenere le progettualità contadine, produttive ed artigianali dei nodi facenti parte della Rete sia a supporto delle mobilitazioni, degli scioperi e lotte organizzate nelle campagne e in città contro lo sfruttamento, per contratti di lavoro e documenti regolari, affinché si possa contribuire anche a percorsi di sindacalizzazione indipendenti e autonomi da apparati centrali.
Un’idea di unità tra braccianti/lavorator* e contadin*/produttor* che se diventa pratica concreta si inserisce sulla strada della connessione di due ‘mondi’ che oggi, non solo devono dialogare ma allearsi per vincere contro il monopolio della GDO&Company. Come? Provando a costruire contestualmente economie alternative ed esercitando democrazia consiliare attraverso gli strumenti per l’autorganizzazione mutualistica e conflittuale.