Il racconto della prima giornata di viaggio dalla carovana milanese contro la guerra
Stefano Quitadamo
Continuo a cancellare tutti gli inizi di ciò che scrivo perché non è semplice, per quanto ci siano cose ben più complesse nella vita (eccome), iniziare a scrivere le impressioni, alcune forti altre stupide, su ciò che stiamo vivendo qui a 1500 km da Milano. Non si tratta di quale stile scegliere ovviamente ma le suggestioni sono tante e nel non volerne dimenticare nessuna sicuramente qualcosa rimarrà qui al freddo e al gelo come tant*.
Il viaggio di andata da Milano ore 8.45 ha avuto due fasi: la prima si è conclusa, dopo 1000 km e spicci, verso le 22.30 a Přerov in Rep. Ceca, detta oggi Cechia, per la sosta notturna a circa 100 km dal confine polacco ed è proseguita dalle 9 di questa mattina per altri 500 km fino alle 16 circa a Medyka sul confine ucraino. Ovviamente un percorso equiparabile a Milano-Palermo che come ben sapete ormai percorro con disinvoltura e ovviamente ho fatto di filata senza farmi dare il cambio a tre compagni che svariate volte hanno tentato di "sfilarmi" il volante dalle mani.
Nonostante il piacere di guidare non è stato facile percorrere il tragitto di oggi per il meteo che da stamattina è stato piuttosto avverso tra pioggia, vento forte e nevischio ed una quantità impressionante di camion che non ci hanno quasi mai abbandonato. Fortunatamente la cucina di questi luoghi non ti fa mancare, oltre che ad una infinità di insaccati, polpettoni e bestiame sapientemente cucinato, delle belle zuppe calde (belle) che scaldano le viscere e ti ridanno.....niente.
La mia auto contenente due fotografi ha fatto rotta appunto verso Medyka mentre una andava ad affacciarsi all'albergo e l'altra intercettava il magazzino dove poi, all'arrivo del pullman stracarico di viveri e beni, tutti ci saremmo diretti.
Medyka è un paesino di confine, poco vissuto, come molti di quei pochi che ci è capitato di attraversare ed è lì che abbiano cercato di orientarci per capire dove intercettare chi avrebbe avuto bisogno del nostro supporto. Dopo aver cercato ad ogni incrocio segnali di vita insieme al punto di raccolta per i profughi come due cartelli ci avevano (non)segnalato arriviamo involontariamente ad una distesa di tende, tensostrutture, gazebo di ogni forma e colore a sinistra di una strada che sale e che decidiamo di percorrere, senza alcun contatto ne aggancio di sorta. La polizia a piedi ci si avvicina e dopo aver detto che arriviamo dall'Italia e siamo volontari ci lasciano passare quasi con gentilezza.
Saliamo in cima ed una rotonda senza uscite ci suggerisce di scendere e trovare parcheggio; proviamo ad entrare in un parcheggio tipo quelli a pagamento ma pensiamo... "non sarà mica a pagamento" e invece si, esce l'omino col suo biglietto in mano e gli faccio " ma siamo volontari" e lui ci dice che qui sono tutti volontari e il parcheggio lo pagano.
Poco più in giù, senza problemi e senza il rischio che qualcuno lì venga a farti una multa, parcheggiamo ...nel fango; è la prima cosa che ho visto scendendo dalla macchina perchè ci ho messo il piede mi ha fatto pensare, il fango, quello che calpestano i profughi in televisione, quello che il piede un po' ci sprofonda mentre piove e fa freddo e che tanto se il piede lo sposti trovi sempre fango e ancora fango. Torniamo in su sulla strada tra un brulicare di persone, di tende, di stemmi di simboli di gilet fluorescenti e parole incomprensibili....e piove. Ad un certo sul lato sinistro della strada la fila delle tende che lo costeggia si interrompe e una stradina si infila verso interno, tutt da lì escono ed entrano... e noi pure.
Cerchiamo qualche volontari* italian*, siamo dappertutto vuoi che non ci sia un'organizzazione italiana qui al confine?...non c'è.
La stradina sembra qualcosa tipo Milano a Sant'Ambroeus, piena di stand e bancarelle, persone di diverse nazionalità, militari, cibo caldo e freddo di ogni tipo, dalla frutta alle merendine, dai pannolini ai vestiti, di ogni. Alcuni distribuiscono anche pizza appena sfornata e patatine fritte a tutt*, che siate profughi o volontari e nonostante tutto si sorride, si ringrazia e si scherza, qualcuno suona anche la chitarra.
Proseguiamo per capire fin dove arriva, cosa c'è in fondo e sono solo alcuni quelli che fanno la strada in senso inverso, quelli che non sorridono, che si tengono per mano, sottobraccio, che trascinano la propria vita in una valigia. Si fermano raramente, prendono qualcosa dei banchi, poche famiglie, molte donne e bambin* che fanno lo slalom tra dolcetti e cioccolata, frutta e bevande calde offerte ad ogni metro. In fondo, a 50 metri c'è il confine, un cancello verde, nemmeno presidiato come se lo fosse, se non da un gruppetto di giovani poliziotti che se gliela conti su bene ti fanno fare anche qualche metro dall'altra parte. Non sappiamo se è possibile scattare delle foto ma vedendo altri fotografi in libertà i nostri cominciano a darsi da fare. Ho fatto qualche foto col telefono e la sensazione brutta è quella di essere lì allo zoo e per un attimo ho avuto la sensazione che qualcun* mi potesse tirare un ceffone all'ennesima foto di fronte ad una sofferenza che mai potrei immaginare. Ne ho fatte alcune, mai direttamente alle persone. ed ho deciso di fermarmi anche perché non minimamente apprezzabili.
Dalle poche parole che siamo riusciti ad estorcere ogni giorno transitano un migliaio di persone che salite sui pullman vanno direttamente alla stazione ferroviaria per le più svariate destinazioni.
Il tempo scorre e dobbiamo raggiungere il magazzino a mezz'ora di strada perché alle 17.30 arriva il nostro pullman e dobbiamo scaricare. Detto fatto tutti e 15, manco in svizzera, pronti per svuotare molto più rapidamente che a riempirlo, mezzo carico di prodotti misti in un capannone e l'altro mezzo carico a 100 metri di distanza. Le informazioni non sono sempre chiare ma se c'è da fare si fa, poi qualcuno spiegherà il perché e lo capiamo poco più tardi mentre riempiamo con l'altra metà del carico un furgone tipo ducato...e ci sta tutto ??!! fino al tetto ma tutto; questo partirà domani o dopo al massimo per un ospedale di Kiev e non mi sono potuto trattenere dall'abbracciare i due volontari ucraini che, dopo un caffè e dei biscotti apparecchiati sui bancali nel capannone adiacente ci hanno spiegato la loro funzione e missione.
Il resto è un ritorno in albergo, una cena a base di pizza polacca (meglio di certe pizze a Milano), una miriade di pierogi (ravioli ripieni misti), birra e morale alto.
La stanchezza non aiuta, di sicuro la punteggiatura non sarà delle migliori e la sintassi lascerà a desiderare ....ma chi se ne fotte.
Per oggi.. ops, per ieri è tutto.
Vi voglio bene.