L’istruzione in crisi e la pandemia capistalistica

di Rosa Camelosll

Continuiamo a pubblicare interventi sul tema "cura, salute e istruzione" per contribuire ad una riflessione collettiva affinché i diritti imprescindibili delle persone siano garantiti fuori dalle regole del mercato capitalistico.
Qui un articolo apparso su VientoSur che fa emergere il processo di abbandono e smantellamento del sistema scolastico pubblico spagnolo attraverso politiche che corrispondono a quelle attuate anche in Italia prima e durante la pandemia.
Un contributo che evidenzia l'esigenza non più rinviabile di mobilitarsi e lottare anche in Italia contro l'utilizzo privatistico del welfare e per un sistema sanitario e scolastico pubblico, solidale e fuorimercato.

La pandemia da covid-19 ha fatto emergere le conseguenze che si stanno trascinando dalla crisi del 2008. I tagli ai servizi pubblici, la loro crescente privatizzazione e delocalizzazione, l'aumento delle disuguaglianze sociali e la crisi ecologica sono problemi che stiamo sempre più avvertendo. E per l’istruzione non è stato diverso.
Durante il confinamento abbiamo verificato come la disuguaglianza sociale influisca sull'accesso all’istruzione per gran parte del corpo studentesco. Il divario digitale, la povertà e le abitazioni scadenti hanno chiarito che l'istruzione digitale non può essere in alcun modo egualitaria. E il risultato è stato che la segregazione scolastica esistente si è consolidata e ampliata. Ed è stata compensata solo dallo sforzo di molti e molte insegnanti, che si sono ritrovati in condizioni disuguali nell’esercitare la didattica digitale.

Il bisogno della formazione scolastica in presenza è un'altra delle lezioni che abbiamo imparato dal confinamento. Innanzitutto perché le aule sono l'unico spazio in cui tutti i bambini, ragazzi e ragazze, godono delle stesse risorse, sia materiali che umane: spazi, banchi, computer, connessioni, libri - insieme ad una persona adulta che si prende cura di loro, mentre nelle rispettive case le risorse a loro disposizione sono terribilmente diseguali. Inoltre, perché nella socializzazione dell'istruzione e dell'apprendimento, l'interazione tra pari, le relazioni, il lavoro collettivo, la risoluzione dei conflitti, la convivenza nella diversità, la cooperazione e molte altre fattori sono fondamentali, tutti impossibili da compiere individualmente attraverso l'apprendimento virtuale. E, infine, perché lo stesso apprendimento, nell’età non adulta, non può essere raggiunto davanti a uno schermo con la stessa profondità dell'interazione con i compagni di classe e con gli insegnanti.

Ma abbiamo anche verificato che le nuove tecnologie, entrate da tempo nella scuola, cercano di sostituire la insegnamento popolare con una formazione online, soprattutto da parte delle grandi aziende del settore, che vedono nell'istruzione un mercato altamente redditizio e che stanno approfittando della pandemia per concretizzare i loro piani. Queste aziende sono le principali beneficiarie politiche della trasformazione digitale dell'istruzione in questa emergenza sanitaria, poiché sono quelle che dispongono degli strumenti, dell'hardware, del software, delle piattaforme, delle reti e di tutti i mezzi necessari per produrre materiale didattico per la scuola non in presenza. Non è un caso che il 29 ottobre scorso sia nata nello Stato spagnolo l'Alliance for Education - HAZ, una rete politico-economica composta dalla Fondazione La Caixa, dalla Fondazione Endesa, da Google, dall'Istituto Superiore per lo Sviluppo di Internet (ISDI) e dalla Fondazione Vodafone Spagna, che la Ministra dell'Istruzione, Isabel Celaá, ha presentato come "un'alleanza pubblico-privata per trasformare il sistema educativo”. Un altro passo verso la privatizzazione e la neo liberalizzazione attraverso il capitalismo filantropo e il capitalismo digitale.

 

Neoliberismo e privatizzazione

L'obiettivo finale dell'istruzione dovrebbe essere l'emancipazione, sia personale e individuale che collettiva e sociale. In questi momenti di crisi di ogni forma –economica, sociale, culturale, ecologica–, in cui tutto indica che ci aspetta un mondo peggiore, è indispensabile che i nostri giovani abbiano strumenti per comprendere il funzionamento della società, per tutelarsi ed essere in grado di migliorarla. Per questo è essenziale la parità di accesso alla conoscenza, non solo tecnica e scientifica, ma anche filosofica, storica e artistica. La conoscenza che ci aiuta a capire le cause della disuguaglianza, dell'ingiustizia sociale, del razzismo, del maschilismo, dell'impoverimento del pianeta, e di poter pensare a soluzioni alternative.

L'espansione neoliberista, tuttavia, in un mondo sempre più globalizzato ha raggiunto anche l'istruzione e in molti paesi dell'UE, compreso il nostro, la politica educativa ufficiale è stata ristrutturata in funzione dell’esigenza della società di mercato, ai bisogni del mondo finanziario, il che implica un cambiamento di direzione e obiettivi che la scuola si pone da molti anni. La finalità è quella di abbandonare l'idea dell'istruzione come servizio pubblico, come diritto fondamentale di tutti i cittadini con l'obiettivo, invece, di fornire una formazione integrale, al fine di ridefinire e progettare un'educazione al servizio dell'economia, intesa non più come diritto universale, ma come investimento personale (Cañadasll, 2013).

Le politiche neoliberiste nell’istruzione hanno come obiettivi principali: 1. aprire al mercato l'istruzione in modo che le aziende private possano fare affari in questo settore; 2. offrire formazione al servizio delle imprese, adattandola alle esigenze del mercato del lavoro; 3. diminuire la capacità dell'istruzione nel generare conoscenza e pensiero critico; 4. trasmettere i nuovi valori neoliberisti di competitività e disuguaglianza; 5. rendere precarie le condizioni di lavoro degli insegnanti.

L'aumento delle scuole private che, pur operando con finanziamenti pubblici, impongono il pagamento delle rette alle famiglie, così come l'aumento delle università private, è una delle formule per la commercializzazione dell'istruzione. La disuguaglianza sociale e l’autonomia scolastica sono due delle caratteristiche delle politiche neoliberiste che, insieme alla privatizzazione, hanno posto fine all’offerta di pari condizioni da garantire ai nostri e alle nostre ragazze. Pertanto, anche l'istruzione finisce per diventare uno strumento in più per consolidare le disuguaglianze sociali ed economiche, ostacolare la mobilità sociale e aumentare la segregazione educativa.

In Spagna, solo il 67,1% degli alunni frequenta una scuola pubblica, mentre la media in Europa è dell'81% (newtral.es). E in città come Barcellona le iscrizioni pubbliche rappresentano solo il 44% del totale.

Questa doppia rete educativa (scuole pubbliche e private, che lavorano con denaro pubblico e introiti derivanti dalle rette) ha diverse conseguenze che riguardano l'intero sistema scolastico. Dal punto di vista economico, sono totalmente ingiuste poiché con i soldi di tutti si pagano i privilegi dei più privilegiati. Secondo il Ministero dell'Istruzione e della Formazione Professionale, nel 2018 gli istituti privati sovvenzionati hanno raggiunto 6.342 milioni di euro di finanziamento dalle casse pubbliche dello Stato; 1.129 milioni solo in Catalogna, la comunità che trasferisce la quota maggiore alle scuole private sovvenzionate, con un impatto importante sulla riduzione del finanziamento verso la scuola pubblica, che costringe le stesse famiglie a pagare quote aggiuntive per compensare il disinvestimento statale.

Dall’altra parte, se si tiene conto che la stragrande maggioranza delle scuole private convenzionate appartiene alle istituzioni della Chiesa, anche da un punto di vista dei programmi, queste scuole sono anche ideologicamente pericolose poiché hanno una loro dottrina, per lo più religiosa e conservatrice, se non fondamentalista come ad esempio la rete delle scuole dell'Opus Dei. Attualmente più di un milione e mezzo di alunni studia in questi centri. Delle circa 4.000 scuole private convenzionate esistenti in Spagna, quelle appartenenti alla dottrina cattolica rappresentano il 65% ed istruiscono il 75% degli studenti e delle studentesse.

 

La segregazione scolastica

Insieme alla disuguaglianza educativa, la più grande conseguenza della privatizzazione, è l’emarginazione scolastica che deriva da un'alta percentuale di concentrazione degli e delle alunne nelle scuole in base al reddito e al livello culturale di provenienza. In altre parole, scuole per poveri e scuole per ricchi. Se consideriamo i livelli socioeconomici, la Spagna è il quinto paese con la maggiore segregazione scolastica nell'Unione Europea (Murillo, 2019), dopo i paesi dell'Est come Ungheria, Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca e Bulgaria. Il 44% degli studenti in Spagna frequenta scuole che soffrono la concentrazione scolastica in base alle condizioni socio-economiche e culturali di partenza. Nel caso degli studenti più vulnerabili la percentuale raggiunge il 72%. La Comunità di Madrid è quella che guida l’isolamento scolastico (0,36) e guida anche la classifica a livello europeo (solo dietro l'Ungheria). La Catalogna è la seconda (0,30) (fonte: Save the Children).

Le cause dell’isolamento scolastico sono una combinazione di diversi fattori, alcuni dei quali hanno a che fare con questioni sociali, come l'aumento delle disuguaglianze e la diversa distribuzione territoriale delle famiglie in base al reddito, ma altri hanno a che fare con le stesse politiche educative.

Una delle principali cause della segregazione scolastica è la doppia rete educativa: scuole pubbliche che accolgono tutti i tipi di studenti e scuole private convenzionate che fanno pagare le rette e selezionano gli studenti. Un’altra causa è la crescente disparità all’interno dello stesso sistema scolastico pubblico, con politiche che incoraggiano la stratificazione delle scuole e la competizione tra di esse. Tutto questo, insieme all’autonomia scolastica, fa sì che gli studenti e le studentesse con più risorse economiche e culturali frequentino istituti privati sovvenzionati o scuole pubbliche con progetti esclusivi, mentre gli studenti con meno risorse e di origine straniera si concentrano nelle scuole pubbliche meno potenziate, che spesso diventano dei veri e propri ghetti.

In Spagna c'è una crescente tendenza a promuovere la scelta dell’istituto scolastico mettendo in competizione le scuole pubbliche tra loro e le scuole pubbliche con quelle private. La crisi del 2008 ha condizionato l'aumento della segregazione scolastica, interrompendo il calo che era in atto dal 2000. Questa situazione è una delle ingiustizie più flagranti nel nostro sistema educativo. Mentre i centri sovvenzionati hanno strutture di alta qualità e molte risorse, i centri pubblici hanno sempre più edifici degradati e meno risorse. Va ricordato che i tagli all'istruzione sono stati nella rete pubblica e non in quella privata sovvenzionata.

Ma non è solo una questione di giustizia sociale, si tratta di capire quale futuro si prospetta con questa segregazione scolastica. Quando bambini e ragazzi delle classi più abbienti stanno insieme già da piccoli (o in età adolescenziale) e in una situazione privilegiata, si plasmano l’idea che i loro privilegi siano diritti inalienabili, abituandosi così a sentirsi superiori e favorendo un atteggiamento di classe in futuro. Inoltre, non convivendo con altri bambini e ragazzi che si trovano in una situazione precaria, non possono creare relazioni ed empatia con chi è meno favorito. Pertanto la segregazione scolastica riduce le possibilità di interazione di ragazzi e ragazze con coetanei di altri contesti sociali e riduce le loro opportunità di acquisire abilità sociali relazionali e non discriminatorie.

Allo stesso modo, quando gli studenti di famiglie con meno risorse e/o immigrati vanno tutti insieme a scuola in spazi più degradati con meno risorse, stiamo anche trasmettendo loro un messaggio ben chiaro: “questo è il vostro posto!” - non mettendoli nelle condizioni di poter rivendicare i propri diritti. Se ragazzi e ragazze di culture, origini e religioni diverse non frequentano insieme la scuola, non possono nemmeno godere della ricchezza della diversità ed è molto più facile che appaiano atteggiamenti xenofobi e razzisti. Più difficile diventa il percorso di inclusione sociale tra studenti di altre culture a causa della mancanza dell’opportunità di interagire con gli studenti nativi.

Infine, a livello pedagogico, la concentrazione di un unico corpo studentesco negli stessi istituti comporta effetti negativi anche sul sistema educativo. I rapporti degli istituti di ricerca ci dicono che i sistemi educativi in cui gli studenti vanno a scuola insieme, a prescindere dalle condizioni socio-economiche, culturali, etniche e religiose migliorano i risultati dell’apprendimento e formazione scolastica. Le aule dove c'è diversità di ceto sociale, di livello culturale, di religione e abilità, sono uno stimolo all'apprendimento per tutti. Mentre la concentrazione degli studenti con più difficoltà ostacola la possibilità di un esito scolastico di crescita collettiva.

In breve, la segregazione nell'istruzione consolida le disuguaglianze sociali, riduce le opportunità educative per la maggioranza degli studenti e mette a rischio la coesione sociale. Se vogliamo costruire una società più giusta ed egualitaria, abbiamo bisogno di un sistema educativo che elimini ogni tipo di segregazione. E per questo è necessario realizzare un'unica rete educativa, pubblica, gratuita e solidale, con la progressiva scomparsa della ghettizzazione scolastica, la limitazione dell’autonomia scolastica, e l’utilizzo di risorse sufficienti affinché tutti gli studenti possano svilupparsi personalmente, intellettualmente, culturalmente, socialmente e professionalmente.

 

Disprezzo per la conoscenza

La deriva neoliberista non solo commercializza l'istruzione, ma sta anche introducendo, sulla base della cosiddetta innovazione educativa, nuove formule di apprendimento con l'obiettivo che le conoscenze, i valori e le attitudini dell'educazione siano direttamente al servizio dei bisogni delle imprese e del sistema economico stesso. Già nel 2014 l'Unione Europea nelle sue linee programmatiche di politica educativa avvertiva della necessità di “cambiare l'approccio tradizionale e accademico del curriculum scolastico per orientarlo verso alcuni mutamenti imposti dallo sviluppo economico e sociale”.

La prima riflessione è che non c'è stata una revisione completa degli attuali curricula, specialmente nell'istruzione secondaria. Questi sono terribilmente ampi, con l’effetto nefasto di rendere impossibile l’insegnamento dei programmi scolastici definiti. Non c'è stata alcuna riflessione sul suo pregiudizio patriarcale, sull'ideologia sottostante o su come garantire che vengano affidati programmi i cui contenuti siano i più attinenti possibili alla cura della società. Il risultato finale è l’acuirsi di grandi lacune su temi fondamentali. Al termine del ciclo degli studi non sono garantire le conoscenze più appropriate sulla storia recente, sulle lotte per i diritti dei lavoratori, sulle ragioni delle ondate migratorie, sui cambiamenti climatici o sulla violenza sulle donne.

Come denuncia Enrique Díez, basandosi su uno studio sui testi di storia, “ciò che si riferisce alla Seconda Repubblica, alla repressione dopo il golpe franchista e alla successiva lotta antifranchista, rimane invisibile, nascosto e, addirittura, distorto in buona parte il materiale curriculare utilizzato dagli studenti” (Díez, 2020).

Tuttavia, sebbene nei discorsi sull'innovazione educativa non venga menzionata alcuna revisione dei contenuti, negli ultimi anni abbiamo già assistito ad importanti cambiamenti che ci avvicinano a quelli che sono i nuovi obiettivi dell'istruzione. Nella scuola dell'obbligo stanno scomparendo le ore dedicate a filosofia, letteratura, musica e storia. Cioè tutti quei contenuti che apportano elementi di riflessione, estensione culturale e spirito critico, ma che non hanno valore nel mercato del lavoro. E mentre stanno scomparendo i contenuti più umanistici, compaiono nuovi contenuti con un chiaro pregiudizio ideologico neoliberista, come l'educazione finanziaria, l'imprenditorialità, l'educazione emotiva o le competenze di base.

Le competenze di base sono il nuovo catechismo neoliberista e sono state introdotte nel nostro sistema educativo senza alcun dibattito o valutazione. Ma la cosa più rilevante è che l'educazione alle competenze non è un metodo pedagogico che viene dal mondo didattico, ma arriva dal mondo degli affari, dalla cultura imprenditoriale. Si tratta di competenze adeguate esclusivamente al mercato del lavoro o competenze di cui i datori di lavoro hanno bisogno, come il problem solving, le flessibilità e lo spirito imprenditoriale.

Con l'apprendimento per competenze, come spiega Nico Hirtt (2010): “Il ruolo della scuola non è più quello di trasmettere conoscenze specifiche (che in pedagogia ovviamente implicano saperle applicare), ma solo di insegnare come utilizzare qualsiasi conoscenza, preferibilmente in situazioni complesse e inedite”. In pratica, questo implica mettere da parte ogni apprendimento che va nella direzione dell'espansione della cultura, stimolare lo spirito critico, favorire la creatività, il libero pensiero, la capacità di analizzare la realtà e la capacità di trasformare la società.

All’interno di un mondo della didattica progressista, questo approccio ha trovato un certo consenso, in quanto assimilato alle pedagogie costruttiviste. Ma non è così, nell'approccio costruttivista le diverse pratiche pedagogiche hanno l'obiettivo di aiutare a consolidare la conoscenza, mentre nell'approccio per competenze, la conoscenza è ridotta a strumento al servizio dell'attività dello studente, cioè della competenza corrispondente. L’obiettivo è unicamente quello di imparare più a saper fare che ad apprendere. In aggiunta con la valutazione per competenze si rafforza ulteriormente la svalutazione della conoscenza, poiché l'importante è sapere quel tanto che basta per poterla applicare. Come spiegano gli autori di Escuela o barbarie: "L'approccio per competenze è fondato su un sistema che approfondisce le disuguaglianze e che abbandona completamente la sua illuminata missione di elevare il livello culturale e intellettuale della popolazione" (Liria, 2017).

D'altra parte, si insiste anche sul fatto che il ruolo degli insegnanti non dovrebbe più essere quello di insegnare, ma di accompagnare. Questo cambio di ruolo va a scapito anche della conoscenza, poiché la funzione di istruire, trasmettere conoscenza e saperi spetta al corpo docente, portatore di conoscenza e con la capacità di scegliere ciò che è più rilevante. Distruggere la loro figura è distruggere il sapere. Se viene svalutato il ruolo degli insegnanti, viene distrutto il rispetto per chi sa e può insegnare. Se agli insegnanti viene attribuito solo il ruolo di accompagnamento, chi insegnerà? La scusa è che "tutto è in Google", ma le informazioni presenti su Internet sono immense, distorte, disordinate, non del tutto verificate o verificabili. E comunque è un grave errore confondere le informazioni rintracciabili su Internet con la conoscenza. Perché l'informazione diventi conoscenza, deve essere analizzata ed elaborata, e chi, se non il corpo docente, è la figura che può e deve farlo?

Il disprezzo verso le lezioni, verso l'uso della memoria, nei confronti dei libri di testo (convertiti al digitale) e tutto il processo di trasformazione del rapporto insegnamento/apprendimento, sono elementi che ostacolano la trasmissione del sapere. La memoria è assolutamente necessaria per trattenere la conoscenza e senza conoscenza non c'è cultura, non c'è comprensione della realtà, non c'è capacità di analisi, non c'è possibilità di avere spirito critico, né c'è possibilità di ampliare la propria conoscenza. "Più la memoria e l'apprendimento dei dati vengono trascurati, più gli studenti sono incoraggiati a ricorrere alla memorizzazione meccanica, poiché non hanno in testa dati e riferimenti che consentano loro di articolare una comprensione significativa di ciò che studiano" (Galindo, 2019 ).

Un altro mantra è quello che afferma che l'educazione deve essere adattata ai bisogni della società del 21° secolo, dimenticando che le società non sono un insieme uniforme. Esistono delle differenze di classe, di genere e culturali. Le esigenze della classe imprenditoriale non sono le stesse della classe dei lavoratori e delle lavoratrici. Da quanto finora osservato, sembra che le esigenze aziendali siano la priorità rispetto alle esigenze e alla centralità del corpo studentesco nel suo insieme. L'istruzione non dovrebbe servire ad adattarsi alle nuove esigenze di un sistema ingiusto e diseguale, ma fondamentalmente a fornire elementi per sfidarlo.

 

Conclusione

 

Come detto all'inizio, l'obiettivo dell'educazione dovrebbe essere l'emancipazione individuale (culturale, artistica, letteraria, scientifica, lavorativa) e l'emancipazione collettiva (capacità di comprendere il funzionamento della società, le cause dei suoi mali ed avere elementi per migliorarla). Per queste ragioni le conoscenze e il sapere accumulati dall'umanità sono strettamente necessarie. Sottrarre agli studenti l'accesso alla conoscenza implica avere cittadini privi di capacità critica, che li rende cittadini docili e facilmente manipolabili. E i più colpiti sono proprio quelli che ne hanno più bisogno, i più svantaggiati socialmente, poiché vengono defraudati dei contenuti culturali che permetterebbero loro di comprendere le cause, politiche ed economiche, che li hanno portati alla loro situazione (Cagnall, 2020 ).

Infine, il sistema scolastico educativo va migliorata, ma qualsiasi innovazione educativa dovrebbe mirare a ricercare quelle pratiche di insegnamento che meglio aiutano ad apprendere e preparare persone libere e colte, critiche e solidali. Non una scuola funzionale alla creazione di imprenditori competitivi o lavoratori funzionali alla produttività. La scuola non può essere una mera fabbrica di giovani precari, sottomessi e senza istruzione, ed è proprio questo che si sta tentando con la deriva neoliberista dell'educazione e con alcune delle nuove pratiche spacciate per innovative.

 

Rosa Camelosll è laureata in Psicologia, docente e co-fondatrice di SIEC (Seminari Ítaca d'Educació Crítica)


Bibliografia

Cañadell, Rosa (2013) ¿Qué pasa con la educación? Preguntas (y respuestas) más frecuentes. Barcelona:  El Viejo Topo.
Cañadell, Rosa; Corominas, Albert y Hirtt, Nico (2020) El menosprecio del conocimiento. Barcelona: Icaria.
Díez, Enrique Javier (2020) La asignatura pendiente. Madrid: Plaza y Valdés.
Galindo, Enrique (2019) “Educación por competencias vs competencias de la educación”. Disponible en  https://www.catalunyavanguardista.com/educacion-por-competencias-vs-competencias-de-la-educacion
Hirtt, Nico (2010) “La educación en la era de las competencias”, Revista electrónica interuniversitaria de formación del profesorado, ISSN-e 1575-0965, Vol. 13, nº. 2, 2010.
Liria, Carlos F.; García, Olga y Galindo, Enrique (2017) Escuela o barbarie. Madrid: Akal.
Newtral.es: https://www.newtral.es/datos-fondos-dinero-educacion-publica-concertada/20201129/
Save the Children: https://www.savethechildren.es/sites/default/files/imce/docs/mezclate

 

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