Invisibili, ma indispensabili: l’emersione tra i braccianti nel Sud Italia

di Francesco Caruso e Martina Lo Cascio
In Luca Cigna (2020), Forza Lavoro! Ripensare il lavoro al tempo della pandemia. Milano: Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

Ringraziamo gli autori e il curatore del libro per la disponibilità e Francesco Piobbichi per il disegno in copertina.


La crisi pandemica ha messo in luce l’imprescindibilità della componente migrante per la tenuta dell’agricoltura italiana (così come di molti altri paesi del Nord globale) e al tempo stesso la condizione di invisibilità giuridico-amministrativa di molti lavoratori non italiani: con la chiusura delle frontiere e il conseguente rallentamento dei flussi migratori stagionali dei lavoratori agricoli dall’Est Europa e dai Paesi del Maghreb, le organizzazioni datoriali già nel marzo 2020 hanno lanciato l’allarme sulla mancanza di braccia nelle filiere soprattutto ortofrutticole, fortemente condizionate e dipendenti dalla “specializzazione etnica” del lavoro agricolo.

Nel capitolo 5, del libro a cura di Luca Cigna “Forza Lavoro! Ripensare il lavoro al tempo della pandemia”, di cui in questo contesto forniamo una sintesi, intendiamo offrire un contributo a questa discussione, fornendo i risultati di un’analisi sociologica sull’impatto del provvedimento governativo sul tema dell’ “Emersione di rapporti di lavoro”.

Il governo italiano ha lavorato per l’allargamento in sede europea delle Green Lanes per la libera circolazione dei lavoratori agricoli stagionali, successivamente ha varato misure provvisorie come l’allungamento della scadenza dei permessi di soggiorno dei lavoratori stagionali e di altri migranti e ha ipotizzato la realizzazione di sportelli informatici per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro agricolo. Infine, ha indirizzato l’attenzione verso un provvedimento di emersione per i lavoratori irregolari presenti nelle campagne italiane, la cui consistenza numerica si aggira, secondo alcune stime, intorno alle duecentomila unità (Istat 2020).

È su queste premesse “utilitaristiche” che prende forma l’art. 103, dal titolo “Emersione di rapporti di lavoro”, del Decreto-legge n.34 del 19 maggio 2020 (il cosiddetto “Decreto rilancio”), recante le norme per l’emersione di rapporti di lavoro irregolare in essere con cittadini stranieri, nonché il rilascio di permessi di soggiorno temporanei ai cittadini stranieri che ne erano già in possesso e scaduti dopo il 31 ottobre 2019.

“È una svolta storica”, annunciano forse troppo frettolosamente alcuni rappresentanti sindacali. In realtà dal primo giugno, con l’apertura della finestra temporale per l’emersione, la raccolta delle istanze procede a rilento, al punto da spingere il governo a emanare una proroga dei termini di scadenza di ulteriori 30 giorni rispetto ai 45 inizialmente previsti.

L’esiguità dei numeri si registra soprattutto nel settore agricolo: le richieste saranno alla fine al di sotto delle trentamila domande (29.555 per la precisione), una cifra ragguardevole ma che contrasta con le previsioni avanzate che paventavano 75.000 domande (Boeri et al. 2020) e con i risultati raggiunti nell’altro settore chiave dell’emersione, il lavoro domestico, dove verranno raccolte 176.848 istanze di emersione.

I motivi di una differenza così significativa sono stati al centro del dibattito pubblico degli scorsi mesi: se, per i principali fautori del decreto, il problema è stato di carattere meramente informativo, diversi analisti invece hanno sottolineato i limiti di un provvedimento con alti costi economici e soprattutto con la leva decisionale lasciata in mano non ai lavoratori ma ai datori di lavoro, per di più delimitati e circoscritti da requisiti reddituali non trascurabili.

Emersione e stratificazione etnica del lavoro agricolo.

Da anni la letteratura scientifica ha posto in evidenza come il duro lavoro bracciantile sia caratterizzato dal tentativo continuo di emancipazione e fuga dei lavoratori da questo settore e la conseguente necessità di reclutamento di nuove figure sociali, sempre più precarie e fragili (Corrado et al. 2016; Gertel e Sippel 2014; Colloca e Corrado 2013).

In Italia, sul finire degli anni Settanta, in Italia come negli altri Paesi dell’Europa mediterranea “a fronte della costante diminuzione della popolazione attiva agraria, che potrà arrivare a essere insufficiente nei periodi di punta della raccolta [...], in questo ipotetico scenario futuro si è iniziato a discutere della possibilità di utilizzare manodopera stagionale immigrata” (Arnalte 1979, p.84).

Da allora la presenza di diverse nazionalità nei campi è diventata un fattore di concorrenza e di ulteriore stratificazione all’interno del lo stesso bracciantato migrante, con continui cicli di sostituzione: i migranti subsahariani che occupano il gradino più basso del lavoro agricolo, caratterizzato da bassa remunerazione, ricerca di impiego soprattutto nelle “grandi raccolte” stagionali, estrema precarietà, mansioni gravose e continuo turn-over. È a quest’ultimo gruppo di lavoratori che ha fatto riferimento il Ministro dell’agricoltura presentando il provvedimento di sanatoria nella primavera 2020.

A fronte di questa stratificazione, il dato sui Paesi di provenienza di coloro che hanno fatto richiesta di emersione è abbastanza indicativo: le prime dieci nazionalità raccolgono oltre l’80% delle 29.555 domande di regolarizzazione in agricoltura, eppure tra queste l’unica componente subsahariana sono i senegalesi, con 1.265 domande.

Nonostante il comma 1 dell’articolo 103 prevedesse l’impegno di assunzione da parte di una azienda agricola è stata riscontrata una scarsa disponibilità dei datori di lavoro ad attivare la procedura di emersione per i propri dipendenti, e ancor meno ad affrontarne i costi. Questo dato stride con i toni allarmistici delle associazioni di categoria degli agricoltori durante il dibattito che ha accompagnato il varo del provvedimento.

Ci sembra di poter affermare che gli agricoltori temessero l’eventuale mancanza non di manodopera tout-court, ma piuttosto di quella eccedente, necessaria per il mantenimento del meccanismo di competizione e regolazione al ribasso dei salari.

In questo scenario, il fatto che il provvedimento abbia demandato alla discrezionalità datoriale la richiesta di emersione ha comportato inevitabilmente una ricaduta del tutto marginale per la componente più vulnerabile del bracciantato migrante: per questo segmento infatti la forma predominante della stagionalità e dell’informalità del lavoro, l’inesistenza di vincoli diretti tra lavoratore e imprenditore (a causa spesso dell’intermediazione operata dai caporali), ma soprattutto la loro continua “rotazione” hanno favorito una sorta di deresponsabilizzazione del singolo datore di lavoro. Non è un caso che tra le province agricole dove si è registrato il più alto numero di richieste di regolarizzazione rientrano proprio quelle aree – la fascia trasformata di Ragusa, l’agro-pontino, la piana del Sele – dove l’intensivizzazione e la serricoltura hanno spinto verso una produzione a ciclo continuo che conseguentemente ha “destagionalizzato” anche i rapporti di lavoro.

In conclusione, l’invio di quasi trentamila domande di emersione per altrettanti braccianti presenti in Italia senza documenti di soggiorno è sicuramente un dato significativo, indipendentemente dalle distorsioni che il provvedimento ha creato (hanno fatto domanda di emersione come braccianti anche molti lavoratori che di fatto erano impiegati in altri settori non coperti dal provvedimento e, di converso, molti braccianti – ma anche edili, camerieri, fattorini – si sono dovuti camuffare da collaboratori domestici per aggirare la perimetrazione settoriale e reddituale del provvedimento).

A distanza di mesi dalla chiusura, il 15 agosto 2020, della finestra temporale per la regolarizzazione, gran parte dei 29.555 richiedenti attende ancora la convocazione in Prefettura; essi non possono nel contempo firmare nessun altro contratto, se non quello promesso dal loro “padrone”.

I ghetti invece sono sempre lì, sempre più affollati: all’alba i furgoni carichi di braccianti continuano a partire diretti verso i campi e le aziende agricole.

Tutti lo sanno, ma nessuno li vede. Appunto, invisibili


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