Lettera alle compagne e ai compagni

Scrivo questa lettera per provare a spiegare, un po' a me stessa e un po' ai compagni e alle compagne, il perché della mia assenza dalle attività politiche da un po' di tempo a questa parte.

Sento il bisogno di farlo perché credo nelle lotte e soprattutto nella loro intersezionalità, credo nella partecipazione , nel confronto , nelle discussioni infinite che sembrano non portino a niente, credo nelle manifestazioni e nei presidi , credo in tutto quello che siamo stati insieme anche se sembra non abbia cambiato nulla di questo mondo storto.
Questi pensieri sono maturati dentro di me dopo tante serate bucate, eventi o presidi a cui non ho potuto partecipare, discussioni che non ho potuto ascoltare , parole che non ho potuto dire.
Questa lettera la dedico a voi come segno dell'affetto che nutro per tutt*, per spiegarvi i motivi della mia sparizione che anche io solo ora comincio a capire.

Come tant* sanno io e Daniel da quasi un anno abbiamo scelto di piazzarci in montagna e cercare di vivere di terra.

Ogni tanto dobbiamo cercare un secondo lavoro per tamponare le emorragie economiche ma la tensione di tutto ciò è avere una vita dignitosa attraverso l'allevamento di capre, (dal cui latte produciamo formaggi) la coltivazione di ortaggi, frutta e piccoli frutti.

Abbiamo scelto in modo consapevole di essere il più possibile illegali: niente caseificio a norma , niente norme Asl, niente permessi su come impacchettiamo o laviamo gli ortaggi, niente fondi europei o regionali , niente Pac. L'idea è ispirarsi alla garanzia partecipata, alla connessione sempre più stretta tra produttore e consumatore, consapevoli dell'interdipendenza che esiste tra le persone anche al di là dello scambio economico.
Il luogo che abbiamo scelto è isolato, impervio, fragile, abbandonato da decenni.

Attorno a noi rimane la flebile presenza degli ultimi Margari, alpeggi abbandonati che crollano su se stessi, rive e rive di boschi dove solo le capre più rustiche sanno prosperare. Quello che ci ha condotti qua è stata la necessità di dare risposte ai bisogni che il capitalismo stava soffocando, cercare un altro modo di attraversare la vita, ritornare ad occuparsi dei bisogni essenziali: cibo, acqua, calore, refrigerio, una casa , affetto , cura , bellezza .

È una scelta difficile e radicale, che mette in discussione tanto di se stessi.
Lavorare con la terra non è solo un lavoro, occupa ogni pensiero e gesto, diventa una posa, un modo di osservare e interagire. Tante sono le ore di attività che non c'è più differenza tra casa, intimità e lavoro.
Questa scelta riguarda tutto.
Se poi la terra è terra di montagna allora le pendenze e la gravità diventano regine indiscusse: ogni sforzo fisico diventa doppiamente faticoso, l'uso di macchinari pressoché impossibile, ogni gesto più lento , pensato più a lungo , ogni piccolo lavoro richiede progettazione.

L'abbandono delle montagne le ha rese poco accessibili, le strade spesso impraticabili per lunghi mesi, le politiche agricole e turistiche hanno favorito l'approccio "usa e getta" (estrattivismo) di questi luoghi . Sembra che ci ricordiamo della loro esistenza solo se manca acqua dal rubinetto, se vogliamo sciare ma non c'è neve o se l'asfalto e il cemento diventano insopportabilmente caldi.
Dopo un anno di vita qui, dopo aver passato un alluvione, dopo aver fatto 4 km al giorno per 4 mesi con 50 cm di neve e aver rischiato l'osso del collo ogni volta che dovevamo portare su balloni di fieno , viveri o attrezzi, ho capito che qui si parte sapendo di perdere .

L'abbandono è ciò che caratterizza questi luoghi, non ci sono abbastanza braccia, abbastanza sogni, abbastanza fiato.
Il capitalismo ha trionfato: portandosi via come un pifferaio magico le genti e i saperi di questi luoghi ha lasciato un paesaggio post-apocalittico martoriato dai cambiamenti climatici ormai sempre più incalzanti.

Perché dunque decidere di vivere qui, in questo modo?

Perché di fronte a questo mondo, per noi, era l'unica cosa sensata da fare.

Ho sempre voluto vivere di terra, perché personalmente credo che racchiuda il senso di tutto. Tornare ad occuparsi dei propri bisogni fondamentali diventa un' autodeterminazione profonda e viscerale, in stretta dipendenza col territorio : le sue risorse, le sue fragilità, il suo clima, le comunità che lo abitano, la sua storia.
In questo senso scegliere la terra per me è un atto politico ben definito: praticare metodi rigenerativi, osservare continuamente come risponde l'ecosistema, ridefinire ogni anno nuove pratiche, essere responsabili in quanto custodi dell'autodeterminazione alimentare di un territorio, definire il prezzo giusto, decidere in quale luogo fisico vendere i propri prodotti, fare cultura del cibo e dei meccanismi che regolano la Gdo , mettersi in rete con altri produttori e creare comunità di mutuo aiuto e formazione costante.

Tutto ciò per me, che parto sapendo di perdere, è l'unica cosa che ha senso.

Per tutti questi motivi, la mia assenza.
Ho scelto la mia lotta, che è attraversata e attraversa tante altre lotte. Ho deciso di essere presente ad essa, profondamente e totalmente.
Dunque spero possiate capire i miei perché e perdonare il ritardo di questa lettera . Io mi sento con voi in ogni caso , spero potrete fare lo stesso con me.

Vi abbraccio e spero di vedervi in qualche manifestazione o tra queste belle montagne.

Viola

 

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