Un sindacato di braccianti e contadini in Andalusia

Questo contributo è la trascrizione di alcuni interventi che Federico Pacheco, sindacalista del Soc-Sat e membro del coordinamento di La Via Campesina, ha tenuto tra Palermo e Partinico il 26/27 marzo 2017 nell'ambito di un percorso di formazione organizzato dal gruppo siciliano Contadinazioni e dalla rete nazionale Fuori Mercato sui temi della sovranità alimentare e dell'organizzazione sindacale (trascrizione e traduzione a cura di Martina Lo Cascio).

Federico Pacheco*

 

Sindacato, occupazioni, azione politica

Il SOC (Sindicato de Obreros del Campo) è nato nel 1976 come sindacato sociale di matrice teorica eterogenea (marxismo-maoismo, sindacalismo cristiano, nazionalismo andaluso e anarchismo) con tre linee strategiche: sindacalismo puro, lotta per la terra e occupazioni, azione politica istituzionale-amministrativa attraverso il CUT (Candidatura unitaria dei lavoratori). Dal 2007 si è riorganizzato come SAT, Sindicato Andaluz de Trabajadores, che è un sindacato più urbano. Dagli anni ’90 stiamo in Via Campesina perchè la nostra natura non è soltanto sindacale ma è anche rivoluzionaria, cioè per la trasformazione radicale. Noi siamo per un altro modello agricolo e siamo contro il sistema agroindustriale che per sua natura necessita di sfruttamento dell'uomo e della terra. Attraverso la Via Campesina ci si batte per un altro modello economico e sociale e gli obiettivi sono la sovranità alimentare, l'agroecologia, la biodiversità e la riforma agraria. È importante essere coscienti dei due livelli a lungo e breve termine: quest'ultimo si riferisce alle rivendicazioni relative ai bisogni quotidiani, l'altro è fare in modo che la risoluzione del problema materiale non ti porti a replicare e riprodurre certi meccanismi del sistema contro cui combatti.

Tutto il lavoro di assistenza e di conflitto necessita di organizzazione dello stesso soggetto coinvolto: conflitto, formazione e organizzazione. Se c'è più organizzazione c'è più conflitto e possibilità di costruire l'alternativa. La solidarietà è per noi immediata e contro il padrone ma al contempo serve come base del modello altro di società verso cui tendiamo.

 

Il lavoro sindacale con i braccianti migranti

Il sindacato da 15 anni ha cominciato a lavorare con i “nuovi braccianti”. Sono due i contesti più rilevanti: la zona di Almeria, in cui i braccianti sono per la quasi totalità immigrati soprattutto dove ci sono le serre e sono presenti circa 100 mila lavoratori, e quella di Huelva, dove si coltivano principalmente le fragole; il sindacato è molto attivo anche in una terza zona, Jaen, con una forte presenza bracciantile autoctona per le olive, per le arance e per gli asparagi.

Il lavoro sindacale coi migranti è differente, abbiamo preso delle strategie del sindacato classico e abbiamo aggiunto un aspetto più sociale; per fare un esempio ci interessano la salute o l'istruzione oltre che le rivendicazioni nei confronti delle imprese. In due parole facciamo assistenza e azione diretta. Con i braccianti migranti oltre l'aspetto sindacale puro bisogna occuparsi anche di tutto quello che riguarda i diritti per migranti come ad esempio il tema del permesso del soggiorno, ricorsi contro le espulsioni, ricongiungimento familiare: questi temi stanno allo stesso livello di quello del lavoro perché sono strumenti per rendere più vulnerabili i lavoratori e per sfruttarli più efficacemente.

Un altro ambito è quello della costruzione di un fronte antirazzista contro la discriminazione e la violenza sia istituzionale che sociale. Per noi queste dimensioni sono funzionali al sistema per marginalizzare i lavoratori e quindi ci riguardano. Se ricordate, similmente a quanto avvenuto a Rosarno nel 2010, nel municipio di El Ejido (Almeria) c'è stata nel febbraio 2000 una sollevazione razzista contro i marocchini che erano da molti anni integrati con la loro attività commerciale e matrimoni misti.

Noi non lavoriamo sul tema della solidarietà con i migranti come un tema a parte, ma come una specificità della classe lavoratrice. Il lavoro diretto coi braccianti migranti è il più difficile perché vivono in precarietà totale, per questo manteniamo nel nostro lavoro sempre due criteri di base: il sindacalista deve essere rappresentativo della propria gente e deve provenire dai luoghi di lavoro che non sono solo le aziende ma anche gli appartamenti condivisi o le baracche, tutti spazi che consideriamo di azione sindacale.

Un altro aspetto importante è avere una sede sindacale aperta dove la gente si può incontrare per la prima volta o dove può confrontarsi, questo perché molte volte se vai nelle imprese la gente ha paura e non ha fiducia. Nonostante sia comunque importante andare nelle aziende per far capire che c'è la possibilità di organizzarsi, la sede sarà un posto, invece, dove trovare per esempio assistenza giuridica e sociale o dove poter fare riunione o giocare a carte e uno spazio di informazione e formazione. Noi consideriamo il nostro sindacato non come un contenitore definito ma come uno strumento a disposizione dei lavoratori.

Il nostro sindacato lo presentiamo come uno strumento di auto-organizzazione da far proprio e utilizzare, non costruiamo con i lavoratori relazioni per cui possano pensare di venire lì perché qualcuno altro gli risolva un problema. Pensarla in questo modo e costruire l'organizzazione parlando di un soggetto, quello migrante, che è sempre in movimento non è semplice. Per questo è necessario un lavoro capillare di promozione dell'organizzazione come strumento dei lavoratori in tutti gli ambiti, per esempio è importante la propria associazione di migranti che noi proviamo a sostenere e quando possibile a coordinare con la lotta sindacale. Questo tipo di organizzazioni sono facilmente cooptabili dal sistema; spesso, infatti, sono i padroni a motivarle e promuoverle per controllare meglio i lavoratori. Anche questo è un tema delicato con cui convivere.

In generale, il sindacalismo rurale e migrante è molto complicato perché c'è molta dispersione oltre che una violenza e un'instabilità permanente; in più dopo la crisi del 2008 sono peggiorate le condizioni lavorative in campagna. Bisogna stare molto attenti a non compromettere la condizione del lavoratore: quando siamo allo sportello la prima cosa che facciamo è informare il lavoratore dei rischi che corre, affinché anche quando intraprenda un percorso di lotta e rivendicazione sia consapevole.

I braccianti migranti normalmente stanno isolati: a differenza degli autoctoni, vivono in insediamenti informali o in quartieri marginali e normalmente l'economia locale vive sul loro sfruttamento. La stampa e le istituzioni locali sono con il potere economico e il tema sindacale per questo diventa problematico tanto più che i braccianti non votano. Per tutte queste ragioni è fondamentale rompere l'isolamento.

 

Come coinvolgere i braccianti migranti nel sindacato

La collettivizzazione delle risposte e la costruzione plurale del sindacato stesso sono elementi importantissimi se pensate che dobbiamo anche fronteggiare la risposta repressiva statale. Il nostro sindacato è quello che subisce più repressione in Europa: abbiamo processi in corso, multe e talvolta compagni che finiscono in carcere. La repressione è un elemento da tenere in conto nel quadro complessivo della lotta, in alcuni paesi la gente viene anche ammazzata!

Per questo è di vitale importanza il lavoro lento e minuzioso di sindacalizzazione che facciamo con assemblee nelle piazze dove viene la gente e porta i propri problemi particolari. A quel punto noi fornendo una risposta proviamo sempre a collettivizzare il problema per generare un conflitto che miri a soluzioni più ampie. Come prima cosa quando accogliamo un'informazione cerchiamo di capire quanti lavoratori si trovino nelle stesse condizioni, nella stessa azienda e la strategia è quella di non agire subito per vie legali ma di provare a interagire direttamente con il proprietario dell'azienda o con gli altri lavoratori per affrontare il problema in maniera collettiva e arrivare a una soluzione senza bisogno di rivolgersi alla giustizia. In questo senso è importante farsi vedere in azienda per far capire ai lavoratori che c'è la possibilità della vertenza e che ci sono già lavoratori sindacalizzati. L'azione diretta è fondamentale in questo contesto di precarietà generale dove ci sono meno regole e dove molti lavoratori sono legati al padrone perché molti lavoratori ottengono i documenti attraverso il lavoro. Questo aspetto è talmente delicato che è necessario provare il possibile per risolvere il conflitto tra lavoratori e il padrone senza ricorrere alla giustizia. In questo momento per esempio abbiamo un conflitto portato avanti da 23 lavoratori che sono stati licenziati e lavoravano in un'azienda dove già c'erano state delle vertenze sindacali sulla paga e dopo il licenziamento hanno organizzato un presidio davanti alle serre, sia per fare in modo che la questione diventasse visibile sia per far diventare quest'occasione uno strumento di diffusione della questione.

L'altro livello è l'azione diretta internazionale. Abbiamo avuto anche vittorie sindacali facendo pressione sui consumatori e gli attivisti tedeschi, svizzeri e inglesi che hanno fatto pressione verso catene di supermercati che hanno a loro volta pressato per le aziende andaluse per far rispettare i diritti e o le rivendicazioni dei lavoratori per ragioni di marketing. Nel mezzo di questa catena ci sono le certificazioni sociali, solitamente utili a ripulire l'immagine dell'impresa, che in questo caso sono servite a noi che abbiamo potuto dire alla Rewe, grande catena di supermercati tedesca, “stai vendendo un prodotto dicendo che hai la certificazione sociale e io ti dimostro che sta succedendo questo conflitto”. Questa strategia ha funzionato in qualche caso e abbiamo deciso di assumerla come parte integrante del nostro modo di operare a livello internazionale per risolvere le vertenze a favore delle lavoratrici e dei lavoratori nei conflitti locali.

 

Attività sindacale e costruzione dell’alternativa

Il lavoro sindacale è sempre a breve e lungo termine, apparentemente l'alternativa è molto distante dal problema sindacale contingente e per avvicinare i due aspetti è necessario collettivizzare la lotta, mantenere la ribellione, ma anche ottenere vittorie seppur piccole, che non siano solo personali. Potremmo considerare come vittoria anche il fatto che il lavoratore abbia fatto esperienza di lotta all'interno dell'impresa perché nel processo è diventato consapevole.

Al contempo pratichiamo già l'alternativa. Abbiamo 12 cooperative in tutta l'Andalusia e l'occupazione di Somonte di 400 ettari. Tutto si basa su sistemi locali che permettono la vendita diretta nei mercati e i gruppi di acquisto. L'alternativa economica non è mai scissa dall'obiettivo politico: ci sono molte esperienze alternative legate all'agricoltura, ma noi cerchiamo di aggiungere qualcosa in più e di non creare un mero sistema economico che velocemente rischia di essere assorbito dal sistema.

Noi stessi siamo e stiamo creando l'alternativa anche con piccoli progetti, chiaramente stiamo parlando di piccoli esempi e dobbiamo farli diventare fenomeni di massa. Così piano piano costruiamo l'orizzonte di sovranità alimentare che implica un controllo politico su come produrre: agroeocologia contro produzione industriale, mercato locale contro grande distribuzione organizzata, servizi sociali per i lavoratori intesi come diritti umani contro quelli delle multinazionali. Tutto questo è sovranità alimentare!

 I dubbi e le domande che vi ponete qui in Italia nelle realtà di agricoltura contadina o dell'autogestione ci sono dappertutto, nessuno ha una ricetta o un modello, nessuno pensa che ci sia da fondare una nuova ideologia, tutti stiamo imparando sperimentando. Ciò che c'è da apprendere è la flessibilità ideologica, strategica e personale. Secondo me questo modo sta trovando nel mondo sempre più spazio, è assembleare, aperto e alla ricerca del presente e in ogni caso nonostante non si arrivi alle masse è qualcosa di arricchente e che si diffonde lentamente. Possiamo dire che creiamo esperienza e allo stesso tempo contraddizione. Ad esempio nel Soc tutto il movimento di occupazione della terra degli anni ’70, ’80, ’90 aveva l'idea che già l'occupazione rappresentasse il cambiamento politico; al contempo ritenevano normale vendere al supermercato i propri prodotti. Quando si poneva l'esigenza di parlare di ecologia e agroecologia, rispondevano che erano temi troppo complicati. La priorità, in quel momento, era l'occupazione. Credo si pensasse fosse necessario accumulare così tanta forza da provocare un cambio generale, rivoluzionario, e in un secondo momento si sarebbe realizzata l'alternativa. Con lo stesso approccio si parlava di femminismo o di questione indigena. Prima prendiamo il potere e poi cambiamo, questa mentalità c’è sempre e in generale oggi possiamo incontrare contraddizioni molto grandi tra movimento cooperativo e sindacato: dividendosi le sfere e non collaborando, di fatto il primo non crea lavoro sufficiente né tanto meno cooperativo e vende al grande distributore. Io credo che dobbiamo provare ed essere consapevoli che le contraddizioni ci sono sempre, perché la vita è contraddizione ma se abbiamo un obiettivo chiaro, non un dogma o un'ideologia, quando incontreremo le contraddizioni le potremo accettare pensando al cammino in cui siamo.

Faccio un esempio: “cibo a km 0 o esportazione?” C'è tutto un dibattito quando parliamo di sovranità alimentare, c'è chi dice “tutto locale!” e qualcun altro al contempo “un tedesco ha diritto a mangiare un'arancia”, insomma bisogna essere flessibili e però consapevoli che viviamo o pratichiamo nella contraddizione. Se esportare a realtà vicine politicamente mi permette di aggirare la dicotomia tra km 0 ed esportazione e di avanzare verso il progetto di sovranità alimentare dovrò farlo, essendo nel frattempo consapevole di ciò che faccio.

Da Via Campesina ho appreso che è un movimento nel quale è presente la diversità e per questo bisogna differenziare obiettivo e strategia. Per avere obiettivi chiari devi anche inventare nuovi concetti, per esempio qualcuno di voi ha detto “sovranità alimentare territoriale”, avete inventato un concetto, ed in effetti ce n'è bisogno.

Abbiamo fatto nostro il concetto di riforma agraria e dobbiamo però aggiungere che la riforma agraria deve essere integrale e popolare; ancora, potremmo dire che l'agroecologia è un concetto rivoluzionario però quando oggi vai all'università ti rendi conto che è stato sussunto, come l'energia verde, e quindi dobbiamo dire agroecologia e però anche contadina.

Abbiamo appena aperto un dibattito sui lavoratori salariati e abbiamo approvato come Coordinamento Europeo Via Campesina un documento di base sul tema. Chiaramente dentro Via Campesina non ci occupiamo direttamente del conflitto capitale/lavoro, ma se parliamo del ruolo del lavoro dipendente in agricoltura stiamo parlando anche di quello e prendiamo posizione e avanziamo nel ragionamento partendo dalla nostra idea di difesa dell'economia contadina. Quando infatti il tuo obiettivo è vivere degnamente, mangiare cibo di qualità che sia accessibile per la popolazione locale e curare il territorio, arriveremo a parlare anche di lavoro.

Tutto questo si lega al tema dell'organizzazione, perché dobbiamo arrivare alle masse, perché siamo in un momento nuovo, non possiamo pensare a ricette già pronte come la rivoluzione in Cina o la guerriglia in Sud America ma dobbiamo essere aperti come gli zapatisti. In Africa c'è un concetto che è quello della convergenza, convergere nell'obiettivo, nella strategia e nella lotta! Per convergere in un obiettivo devi lasciare tutto il tuo bagaglio ideologico e creare nuovi concetti per rivendicare diritti umani, ecologia, sovranità alimentare; convergere nella strategia implica accettare la strategia dell'altro e accettare che tu non sempre abbia ragione.

Bisogna mantenere i due livelli a medio e lungo termine: oggi esporteremo le arance dalla Calabria a Milano e fra 10 anni cambieremo il sistema ma nel frattempo per procedere nel cammino è necessario il lavoro sindacale e tu contadino nel frattempo devi appoggiare la lotta dei lavoratori della terra salariati impiegati nelle aziende degli imprenditori.

* Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista "Gli Asini", numero 72, Febbraio 2020

 


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