Gerardo Reyes Chávez, Coalition of Immokalee Workers*

Soltanto un paio di mesi fa, il coronavirus sembrava una minaccia lontana per la maggior parte degli statunitensi. Ricordo di essermi allora imbattuto in un articolo sul Washington Post dai toni molto gravi, controcorrente rispetto all’atteggiamento generale, sui rischi della pandemia. Per spiegare le ragioni della sua preoccupazione, l’autrice del pezzo rispolverava il noto indovinello della ninfea e del lago: in uno stagno di una certa dimensione, si trova una ninfea che si riproduce ogni giorno. Il secondo giorno, ci saranno due ninfee, il terzo quattro, e così via. Se le ninfee impiegano 48 giorni per coprire completamente lo stagno, quanti giorni ci vogliono prima che il lago sia coperto a metà? La risposta è 47 giorni, con la precisazione, non di poco conto, che al quarantesimo giorno le ninfee saranno appena percettibili. Ora, sostituendo il termine ninfee con coronavirus, la lezione è questa: quando qualcosa di pericoloso cresce in modo esponenziale, tutto sembra andar bene fin quando non è troppo tardi. La spirale  discendente quindi non è solo inevitabile, ma anche più ripida laddove è già presente una condizione di vulnerabilità più elevata.

Immokalee è una cittadina della Florida centro-occidentale che conta circa 25'000 braccianti migranti, per lo più di origine messicana, guatemalteca e haitiana. La stragrande maggioranza di loro vive in roulotte dotate di un piccolo bagno e di una cucina, dove alloggiano anche 10-12 persone. Ogni giorno, i lavoratori si recano nei campi su vecchi scuolabus riadattati, seduti spalla a spalla con 30-40 estranei. Rispettare il distanziamento sociale è praticamente impossibile in ogni momento del quotidiano. Ed è altrettanto impraticabile, nonché poco efficace, restare a casa, a causa del sovraffollamento. Pochi braccianti possono permettersi il lusso di non andare al lavoro, nonostante la paura del contagio. Allo stesso tempo, avendo poco o nessun accesso alle prestazioni sanitarie, non possono neppure permettersi di ammalarsi. La nostra comunità ha sempre vissuto in condizioni di precarietà. Ma ciò cui stiamo assistendo ora è senza precedenti. Siamo ad un punto morto, senza segni concreti dell’esistenza di un piano per contrastare la crisi in corso e le conseguenze gravissime che essa avrà non solo per noi, ma anche per l’intero comparto agro-alimentare della Florida e per l’approvvigionamento alimentare degli Stati Uniti.

Le autorità statali stanno infatti adottando soltanto delle misure di contenimento, laddove servirebbe un piano ben più ampio per far fronte alla totale impreparazione della nostra comunità alla crisi sanitaria in corso. Scarse informazioni sono state condivise circa la diffusione del virus e anche la collaborazione con la società civile e la comunità di Immokalee più in generale è stata carente. Noi della Coalizione dei lavoratori di Immokalee abbiamo trascorso settimane intere in estenuanti negoziazioni con le autorità per conto delle migliaia di lavoratori che rappresentiamo. Visti i magri risultati, lo scorso aprile abbiamo deciso di lanciare una petizione indirizzata al Governatore della Florida e alle altre autorità statali competenti. La nostra richiesta principale è stata di installare in città un ospedale da campo, o un’altra struttura attrezzata, per trattare pazienti con sintomi gravi di COVID-19 e di allestire uno spazio separato per la quarantena dei soggetti infetti con sintomi meno gravi. Abbiamo anche domandato di incrementare il numero dei tamponi effettuati e di richiedere ai datori di lavoro di fornire dispositivi di protezione individuale per i loro dipendenti. Ma l’emergenza sanitaria è ovviamente solo la punta dell’iceberg. Con il crollo della domanda di mercato, molti braccianti non percepiranno alcun reddito per i prossimi mesi. Per questo motivo, abbiamo sollecitato lo stanziamento di fondi pubblici a favore dei braccianti migranti della Florida.

Ci è voluto un mese perché arrivasse una risposta. Alla fine, le autorità sanitarie statali e locali hanno allestito una postazione in città per effettuare gratuitamente i tamponi a qualunque residente vi si presentasse. Soltanto domenica 3 maggio, il primo dei tre giorni in cui la postazione è rimasta attiva, sono stati eseguiti 440 tamponi, quasi tre volte di più di quelli effettuati nell’intero mese di aprile. Queste cifre attestano che centinaia di membri della nostra comunità hanno compreso l’importanza di questa opportunità e si sono sottoposti al tampone. Tuttavia, una più stretta collaborazione con le organizzazioni della società civile, inclusa la Coalizione, avrebbe garantito una maggiore efficienza operativa. Per esempio, le ore di apertura della postazione hanno in parte coinciso con quelle della giornata lavorativa tipica di un bracciante. Il rischio è che alcuni lavoratori lascino la Florida diretti verso gli stati dove è imminente l’inizio della stagione senza aver effettuato il tampone, con un evidente rischio di propagazione del virus. A questo punto, però, ciò che conta di più è l’attuazione delle prossime fasi. Penso in particolare a come verrà gestito il tracciamento dei contatti, l’allestimento di spazi per la quarantena dei positivi, e il trasferimento verso gli ospedali delle città vicine di coloro che dovessero averne la necessità. Le autorità sanitarie hanno infatti bocciato la nostra richiesta di installare un ospedale da campo qui in città, asserendo che gli ospedali delle città limitrofe, la più vicina a circa quaranta minuti di macchina, non hanno ancora raggiunto la piena capacità. Questa decisione ci lascia molto perplessi, considerando che Immokalee è priva di qualsiasi infrastruttura sanitaria, che la densità locale della popolazione è il 172% più alta della media statale, e che fattori di rischio sanitario sono molto diffusi tra i membri della nostra comunità. Non possiamo dunque che confidare nel fatto che le autorità approntino e rendano noto un piano d’azione prima che gli ospedali siano pieni.

In tutto ciò, ci siamo resi conto rapidamente di quanto fosse importante costruire nella nostra comunità una maggiore consapevolezza rispetto al virus. Come abbiamo fatto negli ultimi vent’anni, siamo andati di casa in casa, abbiamo ascoltato e riflettuto sui bisogni delle nostre compagne e dei nostri compagni, e abbiamo cercato di usare la nostra voce per crearne una collettiva. Abbiamo distribuito materiali informativi in lingue diverse, abbiamo affisso volantini in giro per la citta e abbiamo postato messaggi sui nostri canali social a proposito dei rischi che il virus comporta. Il gruppo delle donne della Coalizione ha anche cucito centinaia di maschere protettive, che abbiamo distribuito gratuitamente ai lavoratori e ai membri della comunità. Ma lo strumento che si sta dimostrando più versatile, e per questo preziosissimo, è forse la nostra radio comunitaria, Radio Conciencia. Sintonizzatevi in qualsiasi momento della giornata, e con ogni probabilità vi imbatterete in una varietà di programmi, da quelli che trasmettono melodie latine di ogni genere, a brevi interludi che invitano ed educano alla prevenzione, alla lettura commentata di articoli scientifici, a pillole di esperienze della vita nei campi ai tempi della pandemia. Abbiamo anche sostituito le nostre riunioni settimanali del mercoledì con una lunga discussione radiofonica con esperti, autorità locali e altre organizzazioni di lavoratori del paese. Più che mai, la radio si sta rivelando una finestra sul mondo e uno strumento per rompere l'isolamento e la paura.

Abbiamo anche cercato di migliorare le condizioni di lavoro nei campi. Dal 2011, la Coalizione è responsabile del Fair Food Program, una partnership tra agricoltori, braccianti e aziende alimentari al dettaglio che garantisce salari umani e condizioni di lavoro degne per i braccianti che lavorano presso le aziende agricole che partecipano all’iniziativa. Nella prima fase della pandemia, nella noncuranza delle autorità locali, abbiamo cercato di utilizzare il canale di dialogo costantemente attivo con le imprese agricole sulla questione della sicurezza del lavoro nelle circostanze attuali. I nostri sforzi non sono stati vani. Alcune aziende hanno iniziato ad acquistare generi alimentari per i loro dipendenti per attenuare l'impatto economico della pandemia ed evitare quanto più possibile gli spostamenti per fare la spesa. Un’impresa membro del Fair Food Program, in particolare, ha prestato sette stazioni per il lavaggio delle mani che sono state installate in punti chiave della città. Stiamo anche lavorando con altre organizzazioni di lavoratori per cercare di costituire un fondo comune di compensazione. Fornire una qualche forma di supporto economico ai lavoratori migranti sarà ancora più necessario visto che l’amministrazione Trump minaccia nuovi tagli ai loro salari.

I risultati che siamo riusciti ad ottenere finora, e quelli sui quali ci stiamo adoperando, offrono uno spiraglio di luce nel buio di questa pandemia. Seppur fioco, anche questo spiraglio di luce sarebbe stato inimmaginabile senza il Fair Food Program. Questo rinsalda la nostra fede e la nostra passione, ma desta anche alcune riflessioni. Ci sono voluti anni, una rete di alleati e azioni in tutta la nazione per rendere la nostra comunità resiliente e ottenere dei cambiamenti sistemici nell'industria agricola. La situazione attuale richiede risposte rapide, ha bisogno di una mobilità limitata e rende difficile identificare collettivamente priorità e strategie d’azione. Sorgono dunque alcune domande. Qual è il potenziale delle alleanze tra consumatori e produttori in casi, come questo, che richiedono risorse infrastrutturali e investimenti di larga portata? Come vengono impattate le reti di solidarietà da minacce come il COVID-19, che sembrano grandi livellatori, ma in realtà amplificano le disuguaglianze esistenti? Quali sono le risorse che rischiano di essere più necessarie e di cui le comunità più vulnerabili rischiano di essere prive? Qual è l'entità delle reti necessarie per rendere disponibili queste risorse in modo rapido e tempestivo?

Queste domande ci accompagneranno anche dopo l’attuale crisi sanitaria e non possono rimanere senza risposta. Per prima cosa, con ogni probabilità, affronteremo di nuovo – e presto – una nuova ondata di questo o di un altro virus altrettanto pericoloso. Mi pare per questo che immaginare reti globali per la produzione e la distribuzione di attrezzature mediche, in particolare kit di test e respiratori risponda a una necessità di lunga durata. Una seconda ragione dell’importanza di queste domande è che, nel percorso di apprendimento sul virus, interi paesi stanno mettendo in atto veri e propri esperimenti sociali. I lavoratori agricoli, come gli altri lavoratori essenziali, sono coinvolti in uno degli esperimenti più estesi e più pericolosi. Spesso privi di dispositivi di protezione, bloccati in spazi sovraffollati, vulnerabili e dimenticati, essi sono, forse come mai, trattati come qualcosa di cui si può fare a meno. Allo stesso tempo, dal momento che il rischio di carenza di cibo è molto alto nella percezione dei consumatori, i braccianti godono di una visibilità senza precedenti. È importante riflettere su come sfruttare al massimo questa visibilità. Qui ad Immokalee, anni di organizzazione dei lavoratori dal basso ci hanno resi capaci di resistere e rispondere alla situazione attuale, e di portare all'attenzione del pubblico i bisogni più urgenti della nostra comunità. Una parte del nostro messaggio è stata proprio questa: la minaccia per i braccianti è una minaccia per l’intero paese, perché non ci sarà cibo se i braccianti si ammalano in massa. Quali sono gli spazi di azione per i lavoratori cosiddetti essenziali si possono costruire usando questa visibilità? Come possiamo sfruttare questa visibilità per tenere il passo con l’incredibile accelerazione dei processi politici prodotta dalla crisi in corso? Una cosa è certa. Le rivendicazioni e le strategie che mettiamo in atto ora, per far fronte a situazioni straordinarie come quella attuale, sono la prossima frontiera delle lotte per la dignità dei lavoratori.


* Traduzione di Antonella Angelini

La Coalition of Immokalee Workers (CIW) è un'organizzazione di lavoratrici/lavoratori per i diritti umani, riconosciuta a livello internazionale per i suoi risultati nella lotta contro la tratta di esseri umani e la violenza di genere sul lavoro. È stata tra le prime associazioni a progettare e sviluppare il paradigma della Responsabilità Sociale diretta da lavoratrici e  lavoratori, un approccio alla protezione dei diritti umani nelle catene di fornitura aziendali diretto da lavoratrici e lavoratori anche attraverso iniziative di pressione sui consumatori.


Scarica l'articolo originale in inglese

 

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