Mirko Petrelli

Vivo a Bergamo da Giugno 2019 e dopo una piccola pausa salentina ci sono ritornato per motivi di lavoro. Dopo nemmeno due settimane dal mio ritorno in città mi sono ritrovato in quello che all’inizio sembrava una cosa passeggera, una semplice influenza, come la chiamavano i media e, con un certo senso di colpa, anch’io. Poi i resoconti giornalieri della protezione civile, 200, 500, 750 e poi il triste record, di qualche giorno fa, di quasi 1000 morti.

E così in poco meno di un mese, una città di poco più di 120.000 abitati si è trasformata in uno dei maggiori focolai di Coronavirus in Italia, e nonostante tutto c’ho messo un po’ a rendermi conto anch’io della gravità della situazione.
Quel 21 Marzo, l’immagine di quei 70 camion militari carichi di salme di “caduti” portati in altre regioni perché il cimitero di Bergamo non riusciva a cremarli tutti, insieme alla notizia di nuovi contagi tra le famiglie di carissimi amici del posto, mi ha svegliato da un sonno che non mi dava la percezione e la magnitudine del problema.
Immediatamente la domanda che mi sono fatto e che si saranno fatti in tanti altri è stata: perché Bergamo (e ultimamente Brescia), perché proprio questa cittadina che per anni è sempre stata nell’anonimato se non per motivi legati prettamente al proprio tessuto industriale, è diventata il centro di quella che agli occhi tutti è ormai una tragedia?

 

La risposta va cercata proprio in quel tessuto economico che è parte della spina dorsale produttiva d’Italia e che raggruppa gran parte del nord della Lombardia.

L’indotto di Bergamo ha circa 370 imprese con un fatturato di oltre 650 milioni di euro all’anno e per Confindustria rappresenta un vero e proprio vanto, tanto da portare la stessa confederazione degli industriali a lanciare il 28 Febbraio una campagna video “Bergamo is running/Bergamo non si ferma” per tranquillizzare i partner internazionali delle aziende bergamasche. Nonostante siano state tra le prime zone d’Italia a registrare dei casi di coronavirus, la città e la provincia di Bergamo non hanno adottato le misure di chiusura totale che sono state invece disposte in altre aree della Lombardia come Codogno. Lo stesso Sindaco di Bergamo Giorgio Gori ha ammesso: “Ci abbiamo messo qualche giorno di troppo a capire, abbiamo sbagliato anche noi, anche io. Eravamo preoccupati per il virus, ma anche per le attività economiche delle nostre città, i negozi, gli studi, i bar, la vita stessa nei nostri concittadini. Ma quell’equilibrio non poteva reggere”.
Tuttavia tra il 23 febbraio e l’8 marzo, giorno in cui tutta la penisola è stata dichiarata zona rossa per decreto, nelle zone italiane più colpite dalla pandemia non sono state adottate misure straordinarie: a Bergamo e nella Val Seriana hanno continuato a funzionare le fabbriche, in molti casi fabbriche con più di mille dipendenti, e tutto il loro indotto. In tutto questo, i lavoratori vivono tra la paura di diventare un tramite per la malattia e di portarla a casa e contagiare i familiari e l’ansia su cosa fare se le fabbriche dovessero rimanere chiuse a tempo indefinito.

 

A questo si aggiunge la drammatica situazione sanitaria.

Secondo quanto comunicato dai medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII (a mio parere uno dei poli d’eccellenza della sanità Italiana) in una lettera inviata al New England journal of medicine (Nejm), “la situazione è così grave che il personale medico è costretto a lavorare al di sotto dei normali standard di cura. Si aspettano ore per avere un letto in terapia intensiva. Ma la situazione nelle aree limitrofe è anche peggiore, la maggior parte degli ospedali è sovraffollata, al collasso, mentre mancano medicinali, ventilatori meccanici, ossigeno e i dispositivi di protezione per il personale sanitario”. La lettera si conclude dicendo che questa situazione catastrofica avrebbe potuto essere evitata se fossero state organizzate per tempo delle cure a domicilio e degli ambulatori mobili in grado di evitare spostamenti non necessari e alleggerire la pressione sugli ospedali. “Ossigenoterapia precoce, ossimetri da polso e approvvigionamenti adeguati possono essere forniti a domicilio ai pazienti con sintomi leggeri o in convalescenza”.

A questo si aggiunge la rabbia di chi, vede tutto questo come la causa di un incompetenza da parte delle autorità che hanno gestito l’emergenza mettendo sempre come unico focus la tutela del tessuto economico locale. I mezzi d’informazione hanno sminuito il pericolo, dicendo che colpiva solo gli anziani, dicendo che era una semplice influenza da una parte disumanizzando una parte della popolazione e dall’altra raccontando una mezza verità.
Nonostante tutto, va evidenziato come, da quando è scoppiata l’emergenza Covid in città si è attivata una rete spontanea di solidarietà e di cooperazione dei cittadini, che solo qualche settimana prima sarebbe stata inimmaginabile.

L’ONG Cesvi Onlus, ha avviato una raccolta fondi per l’ospedale di Bergamo con dei risultati sorprendenti. Lo stesso Stefano Fagiuoli, direttore del Dipartimento di Medicina dell'Ospedale di Bergamo, ha ringraziato l’ONG e fatto un appello perché si sostenga la raccolta fondi e si continui ad aiutare a rinforzare la terapia intensiva dell’Ospedale Papa Giovanni XXII.
Le donazioni si possono fare direttamente attraverso i portali o direttamente sul sito di CESVI.
Ma non c’è solo Cesvi.

Il circolo Maite – Bergamo Social Club ha avviato un’iniziativa, realizzata con il supporto di Ink Club, Barrio Campagnola, Club Ricreativo di Pignolo, Upperlab, c.s.a. Pacì Paciana, Arci Bergamo e con il sostegno del Comune di Bergamo, chiamato Progetto S.U.P.E.R. (Supporto Unitario Popolare E Resiliente). E’ un progetto di volontariato, senza scopo di lucro, attivo dal 27 febbraio 2020 il cui obiettivo è dare un supporto pratico alla città e alla provincia di Bergamo in questo periodo di emergenza “Covid19” che non ha precedenti.
Grazie alla risposta entusiasta di molte volontarie e volontari (oltre 110, in cui annovero me stesso), è stato possibile creare una rete solidale di consegne a domicilio di beni di prima necessità (soprattutto cibo e medicinali) destinati a persone impossibilitate ad uscire perché anziane o in condizione di fragilità. Per loro è attivo un numero di riferimento da contattare tutti i giorni dalle 8.00 alle 20.00: 351.9379888 per farsi portare la spesa a casa o realizzare commissioni necessarie (come ad esempio farmacia, bombole di ossigeno, etc).

Per chi volesse contribuire al Progetto S.U.P.E.R. può trovare le info a questo link.

Da più parti arrivano messaggi di gratitudine e ammirazione per quello che si sta facendo per la città di Bergamo, in quella che è diventata una vera e propria gara di solidarietà. In una di queste scrivono: “La nostra città deve essere orgogliosa di voi, cittadini che ogni giorno mettono in gioco salute, sicurezza, il proprio futuro per persone più fragili e più deboli, spesso del tutto sconosciute.”; “è una azione importante per le persone ma anche per un bene comune: la giustizia sociale”; “È importante che questa tragedia non produca altra ingiustizia [sociale] e rende invece possibile la costruzione di una società capace di tenere dentro di sé tutte le persone, tutte le diverse identità”; “Quello che state facendo dice tante cose: che è possibile una nuova alleanza tra le generazioni, che il sapere e la competenza possono essere dovunque, che tutti possono essere costruttori di reciprocità e di fiducia, che tutti sono necessari, che insieme si può migliorare”

“È un cantiere che sta costruendo il futuro: le cose concrete che portate nelle case sono veicoli di relazioni nell’isolamento, di legami nella distanza, di nuova energia per reggere il presente e immaginare un futuro"; “È un esempio di intelligenza collettiva che cresce ogni giorno nella capacità d costruire risposte ai problemi di ogni giorno"; “Ed è un motore di ulteriore solidarietà: siete un esempio per tanti altri che a loro volta possono impegnarsi e anche per chi riceve un aiuto: anche loro, non di rado, possono essere partecipi e attivi, in qualche maniera"; “È il cantiere sociale della nuova Bergamo: la Bergamo della coesione di tutti e di un futuro dignitoso per tutti.”

Da parte mia posso solo dire che sui social network vedo ancora chi, soprattutto nella mia regione di origine, si lamenta dell’obbligo di rimanere a casa pur avendo la propria famiglia accanto. Fuori dalla Lombardia, non si è proprio capito quello che sta succedendo. Oramai il silenzio della città di Bergamo è scandito dalle sirene delle ambulanze e le campane non suonano più a lutto perché altrimenti dovrebbero suonare ininterrottamente.

Quel lutto, non è solo di Bergamo ma di tutta la nazione e spero che, quando tutto finirà, faremo ammenda degli errori che tutti quanti abbiamo commesso.

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