Giulio Iocco


San Sebastiano al Vesuvio – 24 Marzo 2020
Sono passati quindici giorni da quando il primo ministro è apparso in televisione per comunicare l’approvazione del decreto #IoRestoACasa, due settimane dall’inizio di questa reclusione forzata tra le mura domestiche che sembra ogni giorno più difficile da tollerare. Oggi è martedì, e mentre la macchina mediatica annunciava che a breve si sarebbe tenuta una nuova conferenza stampa del primo ministro in cui sarebbero stati illustrati i contenuti di un nuovo decreto governativo, io, come ogni martedì, sono uscito per andare a fare la spesa.

La mia compagna ed io abbiamo questa abitudine: facciamo la spesa il martedì. Nel tardo pomeriggio andiamo a prendere frutta e verdura fresca da Franca, una contadina nostra amica che il martedì consegna i prodotti della sua terra ad una decina di persone che fanno parte del suo gruppo di acquisto informale. Facciamo qualche chilometro in auto cercando di evitare le strade più affollate perché i nostri orari inevitabilmente coincidono con quelli dei pendolari che rientrano a casa al paese dopo una giornata di lavoro in città. La strada principale, la statale del Vesuvio, è tra le più trafficate che conosco in zona, e anche le strade interne ai paesi sono affollate a quell’ora. In ogni caso, anche quando incontriamo del traffico, non ci dispiace affrontarlo.

Il ritiro dell’ordine settimanale ci dà l’occasione per fare una bella chiacchierata con Franca. Lei ci aggiorna su come procede il lavoro in campagna, sulla sua vita familiare, gli studi di sua figlia, la prima in famiglia che si è iscritta all’Università. Noi le raccontiamo qualche aneddoto sulla rapida crescita della nostra bimba di un anno e mezzo, che, nel frattempo, mette a soqquadro il garage di Franca, per l’occasione trasformato in un piccolo negozio di ortofrutta. Abitualmente ci aggiorniamo anche sugli sviluppi della rete di solidarietà città-campagna di cui facciamo parte. Ci scambiamo idee sui prossimi passi da fare per rendere più efficace la rete di distribuzione autogestita che stiamo provando a costruire nel napoletano, e sui meccanismi da mettere in campo per rendere più facile affrontare le difficoltà legate alla programmazione della stagione agricola per i piccoli produttori che ne fanno parte. Puntualmente, da buone capere quali siamo, facciamo anche qualche inciucio su amici in comune o conoscenti. Poi, la mia compagna ed io, carichiamo in auto due o tre cassette di ortaggi e frutta – “coltivati rigorosamente con metodi di agricoltura naturale”, come ama sottolineare Franca imitando la voce delle reclame in modo ironico – la salutiamo e andiamo via. Tornando a casa, ci fermiamo al supermercato a prendere le altre cose di cui abbiamo bisogno per la settimana a venire (legumi secchi, cereali, pasta, detersivi e qualche altra cosa che è difficile reperire altrove).

Da due settimane, però, la spesa vado a farla da solo, e vado a farla solo al supermercato. Mentre i supermercati sono rimasti attivi e sono stati promossi come canale privilegiato per l’acquisto dei beni necessari, Franca ha dovuto sospendere la sua attività. Noi, come altri suoi acquirenti, viviamo in un comune diverso dal suo e, con la stretta alla mobilità che c’è stata, andare a ritirare frutta e verdura da lei esponeva molti di noi al rischio di una denuncia penale che, come mi ha spiegato un amico avvocato, “è meglio evitare”. Come nel caso di molte altre contadine e molti altri contadini, inoltre, l’attività di Franca è parzialmente informale. Per lei, optare per la consegna a domicilio come hanno fatto altri produttori, era rischioso, anche perché nella nostra regione, la Campania, la consegna a domicilio di prodotti “non confezionati” è stata sospesa per ordinanza regionale. Negli ultimi giorni, poi, il governatore ha chiesto e ottenuto l’intervento dell’esercito per intensificare i controlli sul territorio. Insomma, anche senza l’uso dei droni, se ti vogliono fare passare un guaio, ormai gli strumenti ce li hanno tutti.

Così oggi, come da due settimane a questa parte, sono andato al supermercato. Ad aspettarmi ho trovato una fila lunghissima, avvitata su se stessa, di quasi una cinquantina di persone. Ognuno con la sua mascherina, e ognuno ad un metro di distanza dall’altro. Molte delle persone che formavano la fila erano intente a guardare in cagnesco le altre persone in fila. Vecchie e adolescenti, in abiti distinti o in tenuta sportiva che fossero, avevano tutti la stessa espressione. Infatti, ogni tanto, si sentiva risuonare qualche richiesta di rispettare la distanza di sicurezza, indirizzata a chi si era avvicinato troppo con toni tutt’altro che pacati. Mi sono messo al mio posto, in silenzio, per evitare ogni eventuale cazziata. Osservavo. Riflettevo. Nell’ora di attesa in fila, ovviamente, sono nate un bel po’ di conversazioni tra chi era in fila. E – che ve lo dico a fare? – il Coronavirus non poteva che farla da padrone, insieme alla lista aggiornata di persone infettate e decedute.

D’altra parte, in questi giorni, ovunque inizi una conversazione presto si assiste alla sua trasformazione nella recita di un vero e proprio bollettino di guerra. A corollario, il rito prevede anche il passare in rassegna tutte le nuove misure restrittive adottate dal governo, la regione o il comune di turno. Oggi, visto che il tempo d’attesa fuori al supermercato lo consentiva, c’è stata anche la possibilità di sparlare diffusamente di tutte le persone conosciute macchiatesi di crimini orrendi come: camminare con il proprio cane a più di 100 metri da casa; essersi intrattenuto nello spazio antistante casa troppo a lungo dopo aver finito di fumare la propria sigaretta; non avere indossato la giusta mascherina o non averla indossata affatto; ecc. ecc.

Ho resistito a stento alla sensazione di soffocamento che provo nel sentire questi discorsi, e all’impulso di entrare in polemica con chi li pronunciava. Per fortuna, il mio sforzo è stato premiato. “Prego, può entrare” – mi ha annunciato la guardia della ditta di sicurezza privata da dietro ad una maschera anti-gas. Immediatamente dopo ha aggiunto un invito ad indossare “i guanti usa-e-getta “generosamente offerti dal supermercato, per garantire la sicurezza della clientela e del personale”. Guardando la maschera che aveva, non ho potuto fare a meno di sorridere. Poi, lista della spesa alla mano, ho dato inizio al mio percorso a tappe tra gli scaffali stracolmi di merce. In sottofondo, a scandire il ritmo della mia spesa, un messaggio trasmesso a ripetizione: “Per garantire a tutti di poter compiere le proprie compere nel più breve tempo possibile, invitiamo la gentile clientela a svolgere celermente le proprie operazioni d’acquisto”.

Nonostante l’annuncio, non ho potuto fare a meno di rallentare mentre cercavo di selezionare la frutta e la verdura da mettere nel carrello. È un mio limite personale. Nella vita faccio il ricercatore sociale e studio l’agricoltura. Forse è anche per questo che mi perdo sempre quando devo scegliere tra prodotti di marche diverse. Inizio a leggere tutte le etichette che ne certificano la sostenibilità, l’essere prodotte nel rispetto dei diritti dei lavoratori, eccetera eccetera. Leggo il nome delle aziende da cui sono prodotte, quando è indicato. Cerco di fare mente locale per capire se sono aziende che ho incrociato nella mia vita da ricercatore. Poi, puntualmente, mi trincero nel mio scetticismo verso le certificazioni di sostenibilità ambientale e sociale, e cerco di scegliere il prodotto più economico tra quelli che mi sembrano abbastanza rassicuranti da potere essere preparati per mia figlia. Solo dopo questo ciclo di riflessioni, riesco ad andare oltre. Insomma, capirete che – come la mia compagna non manca occasione di rimarcare – ci metto un bel po’ a prendere tutto quello che ho scritto nella lista.

Finita la spesa, sono arrivato alla cassa. I cartelli appesi ovunque richiedono alla clientela di mantenere le distanze di sicurezza. L’impresa non è difficile in questi giorni in cui la fila si fa all’ingresso e non in uscita. Alle casse, le operatrici – tutte donne, come spesso avviene – parlavano anche loro del Coronavirus, proprio come nelle scorse due settimane. Oggi, però, sembravano più preoccupate delle settimane precedenti. Il numero dei casi riscontrati nella nostra zona iniziano ad aumentare. Loro, come altri, hanno paura anche perché l’ultimo decreto stabilisce che loro debbano continuare a lavorare. “Non abbiamo mai lavorato così tanto come in questo periodo. All’azienda le cose devono stare andando bene!” – ha commentato con un pizzico di risentimento l’operatrice che ha battuto in cassa la mia spesa. “Io resterei a casa volentieri, anche perché ho paura che possa infettarmi e contagiare mio padre che è anziano e ha problemi di salute. Con tutta questa gente che passa di qua… Ma mica posso permettermi di impuntarmi e perdere il lavoro. Ci pagano poco, è vero. Ma è l’unico lavoro che ho trovato, e con quello che guadagno devo mantenerci una famiglia” – ha aggiunto abbassando la voce per non farsi sentire dal direttore a qualche decina di metri da noi. Rientrato in macchina, le sue parole hanno continuato a risuonare nella mia mente per tutta la durata del viaggio verso casa.

A casa, mentre sistemavo la spesa tra frigorifero e dispensa, ho chiamato Franca. “Sono passate solo due settimane ma il primo ministro e il governatore regionale già ti devono una novantina di euro! Solo oggi ho speso circa 35 euro al supermercato per la frutta e la verdura!” – le dico per rompere il ghiaccio. È diventato il nostro rito scherzoso, per esorcizzare la situazione: porto il calcolo di quanto mi costa la spesa di frutta e verdura che faccio al supermercato invece che da lei. La relazione finale è la scusa per dare il via alla nostra chiacchierata settimanale. “E stai sicuro che non vengono da chi produce rispettando rigorosamente metodi di agricoltura naturale!” – risponde prontamente lei. Ridiamo a gran voce. Poi lei mi racconta come vanno le cose.

“Continuo ad andare a lavorare. Ci sono verdure da raccogliere, e lavori da fare in preparazione della nuova stagione” – mi spiega. Ha sentito un’amica avvocato per farsi spiegare bene per l’ennesima volta tutte le restrizioni in vigore. Vuole trovare una soluzione per poter consegnare la frutta e verdura raccolta. “Ho chiesto anche come fare a darle in beneficenza – mi spiega – basta che non vada tutto a male!”. Si ferma un attimo. Respira profondamente prima di riprendere. “Non mi posso fermare. Ma, seppure potessi, non mi fermerei per non avere troppo tempo per pensare. Se lo facessi, mi avvilirei” – mi dice con voce ferma. “Però, ogni giorno che passa ho un po’ più paura che mi fermino e mi facciano una multa e denuncia. Io devo oltrepassare il confine del comune per raggiungere il mio pezzo di terra, e i controlli stanno aumentando” – aggiunge lei dopo un attimo di silenzio. Oggi è successo a un mio amico. Andava al lavoro nei campi anche lui. Lo hanno fatto rientrare a casa. Per fortuna non gli hanno fatto né multa né denuncia. Glielo racconto. "Ma tu hai capito? Lui stava solo andando a lavorare!” – commenta, urlando di rabbia. Lascio tornare scendere il silenzio e le do’ il tempo per digerire l’emozione. “Franca, ma la tua amica avvocato, cosa ti ha detto? Come possiamo fare ripartire il gruppo di acquisto solidale?” – le chiedo.

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