Essere “Fuorimercato” in una metropoli 

Il contributo della rete Fuorimercato al dibattito sul futuro di Milano aperto da MiM.

“I contrasti politici sull’Expo potrebbero apparire… incomprensibili
a livello internazionale. È necessario quindi avere la capacità
di parlare one voice” (Oscar Farinetti)

Nei sette anni di vita del Comitato NoExpo, ci siamo sentite/i ripetere milioni di volte una frase che più o meno suonava come “non si può dire sempre di NO”, in genere accompagnata da un’altra che suonava tipo “la gente (sic!) non capirebbe questa opposizione di principio e i giovani faranno la fila per fare i volontari a Expo”. Queste frasi rappresentavano la versione della “sinistra non ideologica” contenuta nella frase di Oscar Farinetti. Il conflitto non serve più; il conflitto non è “narrabile” nella società liquida; il conflitto è ormai retaggio del passato.

Quando abbiamo dato vita a una rete che ha voluto chiamarsi Fuorimercato, siamo partiti invece dall’inevitabilità del conflitto, dalla sua centralità e dalla necessità di dargli sostanza attraverso pratiche altre, relazioni sottratte ai vincoli del mercato, una partecipazione diretta dei soggetti attraverso l’autogestione della propria produzione, materiale e immateriale.

A livello nazionale Fuorimercato nasce quattro anni fa (non casualmente mentre si preparano le contestazioni all’Expo milanese) grazie all’incontro tra la fabbrica recuperata RiMaflow di Trezzano s/N e SOS Rosarno, che iniziano a sperimentare un piccolo progetto per la distribuzione diretta dei prodotti agricoli. Un incontro che verteva su un doppio riconoscimento reciproco: quello dei bisogni e quello delle risorse per un sostegno mutuo.
Ma questo riconoscimento di bisogni era allo stesso tempo consapevolezza politica e “di classe”: senza una rete mutualistica dal basso, diretta, diffusa, progetti di autogestione e di autoproduzione non sarebbero sopravvissuti e non avrebbero potuto crescere.

Da quella piccola sperimentazione Fuorimercato, avendo sempre RiMaflow come spazio permanente di incontro, elaborazione e scambio, è andata costruendosi su tutto il territorio nazionale connettendo altre realtà che praticavano percorsi di mutualismo conflittuale.
Non dunque un semplice scambio tra campagna e città; un semplice rapporto – per quanto diretto – tra produttore e consumatore. Quello è stato il punto di partenza; ma l’obiettivo è stato fin da subito quello di andare oltre, di provare a superare i confini tra produzione e consumo regolati dal mercato, e di contribuire a far entrare nella città una riflessione e una pratica alternativa alle logiche di sfruttamento.

Per la metropoli milanese Fuorimercato ha cercato di articolarsi su diversi filoni: dai mercatini settimanali dei piccoli produttori agricoli in diversi spazi sociali, alla gestione di un bene sottratto alla ‘ndrangheta (la Masseria di Cisliano); dalla sperimentazione di una CSA (comunità di supporto all’agricoltura) a progetti che legassero produzione agricola e inclusione sociale (il Luppoleto sociale a Rozzano), il sostegno all’associazione Mshikamano costituita da rifugiati e richiedenti asilo, la produzione di liquori in collaborazione con altre soggettività (come l’Amaro Partigiano, frutto di una compartecipazione tra RiMaflow e Archivi della resistenza di Fosdinovo). E, ancora, il tentativo di riappropriazione di beni comuni (o da far diventare beni comuni) per creare nuovi spazi sociali mutualistici e conflittuali.

La vicenda dell’arresto di Massimo Lettieri e del rischio di sfratto dell’esperienza di RiMaflow ci hanno riconfermati nell’idea della centralità di questa rete di mutuo sostegno. Se questo assume particolare importanza in una fase di difesa degli spazi che ci siamo conquistate/i, ancor più evidente appare come da questa difesa collettiva emergono le enormi potenzialità di quelle relazioni politico-sociali e materiali che si sono consolidate nell’agire pratiche collettive piuttosto che nel campo della mera astrazione.

Fuorimercato a questo punto si pone – e pone al dibattito del movimento – il tema della costruzione di una economia alternativa, senza la velleità di potersi sottrarre alle dinamiche di sfruttamento e di mercato, ma proprio per sostenere il conflitto contro quelle stesse logiche, provando a rafforzare progetti e spazi alternativi sul territorio.
L’articolo 2 dello statuto di Fuorimercato – Autogestione in movimento dice che l’associazione “è costituita da tutte le tipologie di lavoratrici e lavoratori del circuito economico formale e informale e si ispira alle società operaie di mutuo soccorso, combinando conflitto e solidarietà sociale; promuove vertenze per la tutela delle condizioni di vita e di lavoro di tutti i settori sfruttati e oppressi nella città e nel mondo rurale; promuove e organizza forme societarie di produzione (comunitaria, cooperativistica o aziendale) basate sui principi dell’autogestione, come forma di resistenza del mondo del lavoro alla privazione dei diritti e per tutelare reddito, dignità, cibo sano, salute, educazione, cultura e ambiente; promuove e organizza forme di riappropriazione sociale dei mezzi di produzione, delle terre e dei beni sequestrati alla criminalità organizzata e abbandonati; promuove e organizza la custodia di terre e beni pubblici, demaniali e non, per la loro trasformazione in bene comune”.

A Milano ci stiamo provando – a partire da RiMaflow, da Ri-make, dalla Libera Masseria di Cisliano, dal Luppoleto Sociale di Rozzano, dalla CSA Fontanini di Lodi e da Eterotopia di S. Giuliano, dal Ri-parco di Magenta nell’area occupata dell’ex Cral Novaceta, dalla Civica Scuola di musica Antonia Pozzi di Corsico (che con RiMaflow ha dato vita all’Officina delle libere stelle, presieduta da Moni Ovadia, per connettere lavoro e cultura)… Proviamo a far incontrare e contaminare esperienze diverse con l’obiettivo di ricostruire un senso di comunità differente che pratichi il superamento di sistema. La città non è in questo senso solamente il punto di arrivo di una produzione agricola di qualità (biologica e sociale), ma è, primariamente, un luogo di sperimentazione di relazioni mutualistiche, di riappropriazione di spazi e agibilità politica.

Lo scorso aprile a Roma, in collaborazione con Scup, abbiamo organizzato un convegno sul mutualismo che, favorendo la relazione tra aree e pratiche differenti si incaricasse di cominciare a scrivere un vero e proprio manifesto del mutualismo conflittuale; un percorso aperto e inclusivo, che cerchi di fare tesoro di tutte le esperienze di mutuo soccorso – spesso informali e unico “presidio di civiltà” in mezzo al deserto dello sfruttamento più gretto – per rilanciare un tema che può farsi vertenza generale.
Un’ipotesi che andrebbe replicata, provando a costruire coalizioni sociali nelle metropoli basate non su un riferimento ideologico (certamente importante) o su trite “formule campiste” – quanto sullo scambio di esperienze, sulla resistenza (o, meglio, sulle diverse Resistenze) di fronte alle logiche di sfruttamento e di repressione, sul sostegno alle categorie sociali più colpite dalla crisi economica e sociale. Non una coalizione “per qualcuna/o”, ma una coalizione fatta di una partecipazione diretta di queste soggettività. Questo cerca di essere Fuorimercato: un patrimonio di fragilità che resistono che faccia incespicare il “grande ingranaggio”.
Possiamo provarci anche a Milano?

 

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