Il G20 e i dolori della terra

"Rilanciamo un articolo di Giovanni Pandolfini che ringraziamo insiema a Comune.info che lo ha reso pubblico.
Il 18 e 19 Settembre saremo a Firenze e invitiamo tutt* ad esserci per sostenere i lavoratori della GKN e prendere parte al corteo che parte alle ore 15 alla Fortezza da Basso e sostenere la Marcia per la terra che prevede il suo concentramento alle ore 13 in piazza Poggi all'interno della due giorni de La Semina" .

Le pagine istituzionali annunciano con solennità e orgoglio che il 17 e il 18 settembre Firenze sarà la capitale mondiale dell’agricoltura. Lo dicono perché in quei giorni si riuniscono i ministri competenti dei 20 Stati che impongono le regole e più promuovono l’agricoltura come sistema industriale, quella che non nutre la grande maggioranza della popolazione mondiale né protegge il lavoro dei campi o il consumo di cibo sano. Quei ministri sono invece molto interessati alle biotecnologie e ai sistemi di controllo sull’estrazione e accumulazione dei dati relativi all’agricoltura, agli eco-sistemi e ai comportamenti dei consumatori. Così, come lo sono, come sempre, alla salute dei mercati finanziari e alla rimozione degli ostacoli che creano al loro lavoro “per il bene di tutti” e allo sviluppo delle economie “verdi” le organizzazioni contadine o indigene che non riescono a cooptare. Giovanni Pandolfini, contadino da diversi decenni, tra i protagonisti della prima ora dell’esperienza della fattoria senza padroni di Mondeggi Bene Comune e del Coordinamento delle comunità contadine toscane presenta la grande Marcia per la Terra e la Semina

I ministri dell’agricoltura dei 20 paesi più industrializzati del pianeta si incontreranno a Firenze nelle due giornate del 17 e del 18 settembre. Lo scopo dichiarato del summit e quello di continuare a produrre sempre più cibo per tutti con il minor impatto ambientale possibile. Niente di più falso, la realtà è che si vuole imporre il solito paradigma arricchito da soluzioni biotecnologiche e digitali facendole passare per necessarie agli scopi proposti.

Si continua a sostenere l’insostenibile paradigma dello sviluppo sostenibile gestito dai soliti attori e registi. “La sfida è garantire cibo “, dice il nostro ministro Stefano Patuanelli. Dal Dopoguerra in poi, la “rivoluzione verde” ci ha raccontato come un approccio innovativo che sostituisse le vecchie arcaiche pratiche contadine avrebbe soddisfatto il bisogno di cibo di tutti i popoli del mondo. Consisteva sostanzialmente nell’impiego di grossi capitali (spesso anche pubblici) che utilizzavano  la chimica (concimi e pesticidi) come soluzione alle difficoltà produttive. Tutti i problemi legati alla denutrizione o anche solo alla malnutrizione allora esistenti sarebbero finalmente magicamente scomparsi.

Dopo oltre 70 anni, i risultati sono sotto gli occhi di tutti ed è evidente come nessuno degli obbiettivi dichiarati sia stato raggiunto, anzi molti altri problemi si sono aggiunti. Ben altri risultati, invece, sono stati ottenuti e consolidati. Dalla drastica perdita della biodiversità, alla crescente dipendenza dalle energie fossili e dai prodotti chimici, dall’inquinamento da sostanze nocive immesse nella catena alimentare alla conseguente colossale immissione nell’atmosfera di gas climalteranti, dal drammatico impoverimento dei suoli all’accorpamento fondiario e al trionfo delle catene di distribuzione del cibo concentrate in poche avide mani. Abbiamo visto, inoltre, una gigantesca trasformazione degli assetti economici su scala globale e profondi stravolgimenti sociali come, ad esempio, l’inurbamento forzato di intere popolazioni.

Da problema locale riguardante le comunità locali, il cibo è diventato un affare globalizzato. I grossi gruppi industriali, avendo accumulato capitali enormi con i due conflitti mondiali che hanno sconvolto il mondo nel secolo scorso, hanno utilizzato i loro trampolini di lancio finanziari e produttivi per conquistare l’intero pianeta.

Gli eredi di questi imperi, oggi, sono quelle multinazionali specializzate nella produzione di pesticidi o di semi transgenici, di prodotti farmaceutici e di estrazione e distribuzione delle materie prime.

Solo alcuni esempi:

La tedesca Hoechst, che nel 1999 si fonderà con la francese Rhone-poulenc dando vita ad AVENTIS, fornì all’esercito tedesco iprite ed esplosivi. Oggi Aventis è un colosso delle biotecnologie applicate all’agricoltura.

Sempre nello stesso periodo, l’americana DU-PONT riforniva gli alleati di polvere da sparo per cannoni ed espolosivi, oggi è una delle massime produttrici mondiali di pesticidi e sementi. Monsanto era stata creata, all’inizio del secolo, per produrre saccarina ma centuplicò i propri profitti vendendo i prodotti chimici che servivano alla fabbricazione industriale di esplosivi e gas bellici, tra cui l’acido solforico e il micidiale fenolo.  Oggi anche Monsanto, che si è fusa con la Bayer, è molto nota agli agricoltori di tutto il mondo per la sua produzione di pesticidi, diserbanti ed è leader mondiale delle sementi OGM.

Non è certo un segreto – per chi abbia voglia di fare qualche ricerca – come, appena terminati i due conflitti mondiali e con i grandi utili realizzati grazie ad essi, i grossi gruppi industriali abbiano imposto al mondo intero lo sviluppo dell’agricoltura industriale per continuare e consolidare i loro enormi profitti. Eppure, resta disgustoso il fatto che per la gran parte delle popolazioni tutto questo sia coperto da narrazioni ingannevoli e mistificatorie e che le fortune di certi colossi siano propagandate come frutto del progresso in chiave democratico-rassicurante addirittura da esportare.

La storia, purtroppo, non ancora è finita.

Fin dai primi anni Duemila, la narrazione della Green Economy ha continuato a raccontarci come lo stesso “sistema” – resosi conto dei danni fatti (sorvolando sugli obbiettivi mancati) – si proponesse di risolverli ovviamente di nuovo lucrandoci sopra e rinnovando la disgustosa retorica filantropica.

Un sistema in cui le grosse corporazioni transnazionali e i governi a loro assoggettati giustificano il loro operato con una incredibile logica danni/benefici. Molti dei danni più drammatici per l’ambiente e le persone sono stati fatti con il pretesto di aumentare certi benefici, come se poi questi fossero equamente distribuiti e/o realmente tali.

Ora la Green Economy allunga il passo con i grandi processi di digitalizzazione, robotizzazione e, con l’utilizzo di ulteriori tecnologie industriali e monopolistiche, si fa ancora più green e più dipendente da forti investimenti e da un sempre più massiccio uso di energia (ovviamente green pure quella).

Siamo sempre più green, tutto diventa sempre più green.

Stiamo assistendo a una riconfigurazone del mondo dove la complessità della natura  diventa  una macchina da scomporre e ricomporre a nostro piacimento, una macchina e non più un organismo. I nostri campi, il nostro cibo e ora  anche i nostri corpi saranno nutriti, difesi (non più curati), a colpi di aggiornamenti, come gli smartphone.

 

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